Riprendiamo la nostra storia, facendo un passo indietro dal punto in cui l'abbiamo lasciata.
Nel 1908 presso la
Borsa di Milano era quotata
la società
Industriale Elettrochimica di Pont Saint Martin, divenuta poi
SIP (Società Idroelettrica Piemontese)
, l'antenata di
Telecom Italia.Nel 1923, questa società, assieme ad altre quattro, ottenne da
Mussolini la concessione per gestire e sviluppare la telefonia italiana. Sempre lei, nel 1924 costituì la
STIPEL, la quale cominciò ad operare il 12 ottobre di quell'anno nelle regioni che ebbe avuto in concessione:
Piemonte e
Lombardia.Successivamente SIP acquisì il controllo di due di quelle quattro società (TIMO e TELVE), concentrando nelle proprie mani oltre la metà del traffico telefonico italiano e diventando uno dei maggiori gruppi economici del paese.
Il capitale di controllo di SIP era detenuto dalla
Banca Commerciale Italiana. E quando questa andò in crisi, a seguito della pesante situazione economica generale del 1932, fu "salvata" e rilevata dall'
IRI, costituita per l'occasione nel 1933, assieme a tutte le sue partecipazioni industriali, tra le quali vi era
SIP.Nel 1936, tutte le attività legate alla telefonia possedute dall'
IRI, furono fatte confluire in una nuova società,
STET, da subito quotata alla Borsa di Milano.
Facciamo un salto in avanti di 60 anni e arriviamo al 1992.
Sarebbe più interessante ed istruttivo parlare dell'enorme progresso fatto dalla telefonia in questo lasso di tempo, che non parlare degli aspetti finanziari.
Ad ogni buon conto, le nuove tecnologie scoperte e messe a punto da
inglesi e
americani, durante il periodo a ridosso del conflitto mondiale, furono messe a disposizione dell'Italia nell'ambito del
piano Marshall.Si pensi soltanto a cos'era ancora negli anni '30 l'invenzione di
Antonio Meucci e si faccia il paragone con quella che è oggi.
Fu in quegli anni dal 32 al 92
che furono messe le basi per quella che è la telefonia moderna.
E andiamo agli anni novanta.
In quel decennio cominciò a prendere vigorosa forza il vento delle
privatizzazioni. L'Italia era fortemente indebitata. Aveva il debito pubblico più alto, in rapporto al PIL, tra i componenti del gruppo dei sette paesi più industrializzati del mondo. La svalutazione della
lira nei confronti del
marco tedesco del
franco svizzero, le monete più forti dell'Europa in quel momento, erano all'ordine del giorno. L'Italia repubblicana rasentava una debacle senza precedenti.
Gli speculatori internazionali, tra i quali spiccò
George Soros, avendo individuato nel nostro enorme debito pubblico il tallone d'Achille della nostra moneta, si diedero al suo assalto, giocando forte a ribasso sulla nostra valuta.
Domenica 13 settembre 1992 la lira fu svalutata del 7 % e la notte del 17 settembre 1992, il governo Amato, per salvare la lira da ulteriori pesanti e disastrose svalutazione, varò una manovra finanziaria da 100 mila miliardi di lire. In quell'ambito tassò
i conti correnti bancari sulla base del semplice
saldo contabile di quella notte: operazione palesemente iniqua, ma accettata, perchè non tenne conto di nulla: giorni valuta, buon fine assegni, operazioni transitorie, ecc. A chi toccò, toccò. Ci fu quindi chi pagò tanto, chi meno e chi niente. Di quel sacrificio, che non fu sopportato da tutti allo stesso modo, ne beneficiarono indistintamente tutti. E coloro che vennero scherzosamente chiamati i "salvatori della patria", coloro che furono "spolpati", non ebbero alcun riconoscimento scritto o verbale, medagliette, buoni sconto o bonus da spendere nelle proprietà e beni dello stato e demanio pubblico:
suggerii queste idee, ma non se ne fece nulla. Eppure sarebbe stata una soluzione a costo zero.Fu, soprattutto per ridurre il
debito, oltre che per azzerare gradualmente la presenza dello
stato nei gangli vitali dell'economia,
che si diede inizio, con quella
manovra finanziaria del 17 settembre 1992, alle
privatizzazioni di massa.
fine 4a parte