Questa mattina, a
Radio Padania sono arrivate diverse telefonate di negozianti, e non solo, che denunciavano lo sconquasso portato loro dagli studi di settore in versione
Prodi.Mercoledì, il ministro Bersani è stato accolto da una bordata di fischi, all'assemblea degli Artigiani, ed è stato incalzato sulla questione degli
studi di settore. Anche il movimento
"Meno sprechi, meno tasse" si accinge a dar battaglia su questo fronte.
Voglio pertanto mettere in rete l'esperienza da me vissuta, in tema di studi di settore e (finte) liberalizzazioni.
Gli studi di settore, è opportuno dirlo,
erano stati introdotti nella scorsa legislatura
per contrastare l'evasione e l'elusione fiscale, ma la loro applicazione veniva attuata in maniera più democratica.
Per determinate categorie era obbligatorio l'adeguamento ai parametri stabiliti. Parametri che tengono conto di tutti gli elementi caratteristici di quell'attività: genere, ubicazione, dimensione, ecc. Chi non si fosse adeguato, sarebbe stato passibile di venire sottoposto ad un minuzioso controllo fiscale da parte della Guardia di Finanza. Prima di essere sottoposti all'eventuale controllo, però, venivano emesse cartelle esattoriali nei loro confronti, cartelle cui veniva data la possibilità di fare ricorso e, definita la questione, farle correggere o annullare
. Procedura fastidiosa che però portava ai risultati sperati. A seguito del ricorso sarebbe potuto scattare il controllo, ma
chi era a posto, non aveva nulla da temere. Ricorrere era il mezzo democratico per far emergere le vistose discrepanze emergenti tra quanto stabilito al tavolo dei ministeri rispetto la realtà.
Il governo Prodi ha inasprito questo meccanismo obbligando al pagamento di quelle cartelle emesse d'ufficio. Per chi non paga, scattano i pignoramenti.
Io e mia moglie siamo stati, a ben ragione, tra
le prime vittime volontarie degli studi di settore, oltre che della burocrazia fiscale.
Mia moglie era titolare di una piccola attività commerciale, alla quale sovrintendevo come aiuto esterno. In seguito ai problemi di salute, abbiamo dovuto mettere in secondo piano l'impresa, trascurarla, ridurre e poi annullare ogni tipo di investimento, ridurre l'orario di lavoro a sole sei e poi cinque ore al giorno, per cinque giorni.
Ma a noi andava bene, e sarebbe andata bene anche così. Non avevamo affitto da pagare. E anche se con i margini riuscivamo a coprire a malapena soltanto i costi e avanzare qualche spicciolo per noi, lo facevamo volentieri perchè avevamo un impegno che ci costringeva ad uscire di casa e ci obbligava a stare in mezzo alla gente.
Ma poi vennero gli studi di settore che da un certo anno avrebbero coinvolto tutte le categorie. E c'era l'obbligo di versare i contributi INPS anche se si era raggiunta l'
anzianità contributiva. Lo stare aperti, voleva dire anche questo obbligo, questo impegno.
Fatti i debiti calcoli, è stato meglio aver chiuso.Ma, quante famiglie, quanti casi si trovano o si sono trovati nelle stesse condizioni?
Costretti a chiudere per colpa degli studi di settore o perchè costretti a pagare i contributi INPS? Contributi che si è obbligati a versare per il solo motivo che si vuole rimane aperti?
Anche questi sono problemi da risolvere. Perchè a molti che si vengano a trovare i queste situazioni, potrebbe venire la tentazione di vendere la propria attività ad una di quelle organizzazioni malavitose cui ha accennato il magistrato
Pier Luigi Vigna nella trasmissione di
Ballarò di questa settimana.
Per essere credibile, ogni governo dovrebbe ingaggiare, parallelamente alla lotta all'evasione ed elusione fiscale, una lotta a tutto campo contro gli sprechi e contro le sacche di privilegi che sono stati creati via via dai governi succedutisi nei sessanta anni di storia della nostra repubblica.