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mercoledì, marzo 28, 2012

Cultori e demonizzatori


Dante e Firenze - Domenico da Michelino - Duomo

(In calce, aggiornamento del 31 marzo)

Dopo i fatti di Tolosa, e dopo la scoperta degli oltre 160 siti web antisionisti, quelli di Gherush92 avranno buon gioco nel far valere la loro idea, secondo la quale la Divina Commedia sia da far abolire come materia di studio in tutte le scuole pubbliche: a loro dire, conterrebbe versi omofobi, razzisti ed antisionisti.
Strabilianti e pazzesche, le sconclusioni  cui sarebbero pervenuti, basate unicamente su alcuni versi dell'Inferno dantesco, nel contesto però di un'opera dal valore unico e irripetibile in ambito mondiale.
In sette secoli di vita il Poema è stato come il pane quotidiano per una moltitudine di persone; dopo Bibbia e Vangeli è forse l'opera più conosciuta ed amata dagli italiani.
Ne sono anch'io un entusiasta estimatore; da molti anni, praticamente da sempre. Era stata Luisa, la nonna di un mio amico a farmene innamorare, decantandomi bellezza e soavità dei versi. Donna d'altri tempi, al limite dell'analfabetismo, dotata di assai minuta cultura generale, Luisa era però un'estimatrice della Divina Commedia. Come avesse fatto ad imparare a memoria tanti versi, non l'ho mai capito, poichè la donna non aveva frequentato alcun ordine di scuola. Vissuta fino ai cinqant'anni nelle campagne della provincia di Cosenza, Luisa era diventata vedova in bianco intorno ai venticinque anni, con tre figli piccoli da accudire. Suo marito, emigrato in Brasile negli anni '30, aveva fatto perdere le proprie tracce, e, a quanto poi sarebbe risultato, pare si fosse riaccasato in quel paese. Luisa, rimasta in Italia ad aspettarlo, tirò su da sola i tre figli; cresciuti i quali, emigrarono anch'essi, chi a Milano, e chi in Brasile, in cerca del padre. Fu così che Luisa, al seguito dei figli, si ritrovò qui a Milano, domiciliata presso uno di loro.
Diventato amico di quella famiglia, frequentavo spesso la loro casa, nella quale m'imbattevo sempre in nonna Luisa, l'appassionata di Dante. E ogni volta lei mi declamava qualche nuovo verso della Divina Commedia; mi ero immaginato che la conoscesse tutta a memoria. Eppure, come detto, non aveva frequentato alcuna scuola, e non aveva alcun titolo di studio; e poi, con quel fardello familiare sulle spalle, non deve aver avuto granchè tempo per se stessa. Eppure trovò il tempo d'imparare a leggere Dante.

Quelli furono i miei primi approcci alla Divina Commedia; venne poi la scuola, e da allora non l'ho più persa di vista.  Sono rimasto allibito allorquando ho appreso della sgangherata proposta di voler far bandire lo studio della Divina Commmedia dalle scuole. Così d'acchito mi sembrava una burla, come quella che sarebbe stata messa in piedi due anni fa (vedere nell'introduzione a questo post), quando un fantomatico gruppo di professori, appartenenti all'altrettanto fantomatico Gruppo ARRE avrebbe inoltrato una petizione all'allora ministra Gelmini per far sì che abolisse lo studio della Divina Commedia nelle scuole. Questa di Gherush92 sembrava proprio una burla come quella. Invece era stata una notizia vera, tanto che ne aveva parlato perfino Vincenzo Mollica nel TG1 del 14 marzo scorso; la notizia fu poi ripresa da molti blog.

Lo studio è stato finanziato dall'ONU. Un bel modo di sprecare i soldi dei contribuenti degli stati aderenti. Al pari della Damanaki di questo post di Saura Plesio, pare  che anche costoro non abbiano un tubo da fare, e si mettono a far spulciare i capolavori dell'Umanità, in cerca di qualche possibile traccia di razzismo, omofobismo, antisemitismo; e così, quelli di Gherush92, per giustificare le loro parcelle agli occhi del mondo, fanno le pulci al poema dantesco e tanti altri, andando a cercare il peluzzo nell'uovo. Se quelli dell'ONU lo avessero chiesto a me, glielo avrei fatto gratis questo studio, indicando i cosiddetti canti incriminati. Ai veri estimatori della Divina Commedia tali versi non hanno mai dato fastidio, nè per questo sono diventati omofobi, razzisti o antisionisti.  

Caterina Maniaci, autrice dell'articolo da cui è tratta questa informazione, ha contattato Valentina Sereni, presidente di Gherush92, che le ha fornito gli elementi che hanno portato il suo Gruppo alle cosiddette conclusioni. Conclusioni che non hanno minimamente convinto neanche me.
Invece di perder tempo con queste baggianate, consiglio loro di andare a lavorare seriamente.
Come scrive Caterina Maniaci, trasformatasi per l'occasione in una sorta di Jimmy Ghione di Striscia la Notizia, costei ha anche scoperto dove sarebbe ubicata la sede di Gherush92. E' stato questo elemento che m'ha fatto pensare alla burla, e m'ha altresì fatto pensare che costoro potrebbero aver abbindolato anche quelli dell'ONU.

"Tutto chiaro e preciso. Ma pur essendo Gherush92 consulente dell’Onu, status di tutto rispetto e cosa che non è concessa proprio a tutte le organizzazioni, la sede a Roma, segnalata  nel sito dell’United Nations Department of Economic and Social Affairs, è inesistente: a quell’indirizzo non risulta nessuna organizzazione. Lo abbiamo scoperto personalmente. Una zona di quasi campagna, nella periferia nord della Capitale, tra villette e piccoli capannoni aziendali. Il numero civico non corrisponde, anzi non esiste. Chiediamo in giro. «Associazione Gherush92? Mai sentita, qui non c’è», risponde una ragazza che esce da un cancello. In effetti, ci viene confermato dalla stessa associazione che quell’indirizzo non è valido e non ce n’è un altro cui fare riferimento...".

Aggiornamento
L'amico descritto in questo post ha per secondo nome Espedito. Un nome che gli era stato voluto da nonna Luisa di cui sopra.
Dal post di Filia Ecclesiae, Santi - ma quanti!, scopro che Sant'Espedito è il santo delle cause immediate, un santo al quale nonna Luisa si era probabilmente rivolta per invocare il ritorno o il ritrovamento del marito. 






domenica, marzo 25, 2012

Aziende con occhi al futuro

Nel programma radiofonico Focus economia, di venerdì scorso, 23 marzo, Sebastiano Barisoni ha intervistato Giacomo Leva, Amministratore Unico della LEVA S.p.a. Arti Grafiche. L'azienda è situata a Sesto San Giovanni fin dalla nascita, avvenuta nel 1972 per iniziativa dell'allora poco più che ventenne titolare Giacomo Leva. 
E' stato un piacere ascoltare l'intervista, che per oltre mezz'ora m'ha fatto rimbalzare nel mondo della stampa, che è stato il mio per molti anni.
Tanti i punti toccati, dall'Art.18 all'anatocismo bancario.
Le Arti Grafiche Leva non sono mai state mio cliente, anche se per un certo periodo ho avuto in elenco alcune tipografie di Sesto San Giovanni, ma in quel periodo in cui l'azienda nasceva e cresceva, io ero in prima linea nel segmento delle carte da stampa. Ebbi così avuto modo di incontrare lui, o il suo braccio destro, in quel deposito di carta frequentato in quel periodo anche da Umberto Seregni.
Dall'intervista, e da notizie desunte dal loro sito, scopro con piacevole sorpresa che oggi le Arti Grafiche Leva sono costituite da un organico di ben 45 dipendenti, che si muovono in uno spazio lavorativo di ben 6000 mq: numeri ragguardevoli e di tutta eccellenza. L'azienda è ubicata in via Edison, nella zona in cui fino a trenta anni fa pulsava il cuore vitale di grandi aziende che hanno contribuito a fare grande l'Italia: Ercole Marelli, Magneti Marelli, Falk. Facendo un giro della zona con Google Maps View scopro con piacere che in tutta l'area fervono lavori di grande trasformazione della zona. Delle aziende citate sta man mano scomparendo ogni traccia, e al loro posto modernità, giardini, ampie strade stanno prendendo il sopravvento. La maggior sorpresa m'è però venuta dal vedere i passi da gigante compiute dalle Grafiche Leva, un'azienda che ha saputo superare indenne la crisi che ha investito il mondo della carta stampata a fine anni '80 (vedere post Tutti a casa), e che, a quanto pare, sta superando la ben più grave crisi attuale, guardando al futuro sempre con ottimismo. Durante l'intervista è tra l'altro emerso che per Giacomo Leva l'Art.18 non è stato e non è un problema alla capacità di sviluppo della sua azienda. Ne è prova il fatto che ha raggiunto un organico di 45 dipendenti, all'interno dei quali vi è sicuramente almeno un disabile, anche perchè, superato un tot di dipendenti, vi sono obblighi di legge.

Foto: il cantiere dell'Edison Project - dal sito Ioarch  

venerdì, marzo 23, 2012

Ritorno all'antico?

Art.18, si continua a discutere del nulla. 
Il post Un lavoro per Adriano parla delle discussioni incentrate in chi ha voglia di perder tempo; che è come fare discussioni attorno alla lana caprina, la quale, essendo una lana inconsistente, priva di qualità, è come stare a discutere attorno al nulla; discussioni che farebbero solo perdere del gran tempo.
Poichè sotto la spada di damocle dell'attuale Art.18 ci sono passato direttamente, come potenziale imprenditore, e indirettamente come spettatore di disgrazie altrui, personalmente, come privato non investirei mai in una nuova attività qui in Italia. Spiace doverlo dire, ma piuttosto che creare impresa farei beneficenza, almeno saprei in anticipo che più di quel tanto non potrei dare, pur magari volendo. Invece, creando impresa mi dovrei accollare rischi potenziali illimitati, alle quali contribuirebbe anche l'Art.18, così come è strutturato. Ne parlo a ragion veduta, essendoci passato sotto quella forca caudina, ed avendo assistito alla fine fatta da molti imprenditori che si erano avventurati fiduciosi in varie imprese.
Morale della favola: se l'Art.18 non viene modificato, più nessun privato si sognerà d'aprire un'impresa di rilievo qui in Italia, a meno che non sia un santo, o un sadico che voglia farsi male con le proprie mani. E quindi, unica possibilità di creare nuovo lavoro qui in Italia, sarebbe l'autarchia con il ritorno alle imprese di stato. 

martedì, marzo 13, 2012

I farlocchi della A2A

Farlocco, sciocco sprovveduto.
Il mondo dei personaggi che orbitano attorno alla borsa, e ci campano sopra, è piena di farlocchi, ovvero taroccatori, improvvisatori, gente di poco valore che parla tanto per parlare. E i mezzi di comunicazione, che basano loro articoli sulle dichiarazioni di costoro, ne diventano in certo qual modo complici, perdendone in credibilità e reputazione.

La storia borsistica di A2A, ex Azienda Elettrica Municipale di Milano, fusasi con l'omologa bresciana, diventando così A2A, è l'ennesima dimostrazione di quanto i piccoli risparmiatori, che investono in borsa, sono considerati e trattati come il classico parco dei buoi, vittime dei farlocchi di cui sopra, pronti per essere scannati.

Questo blog contiene storie delle disgrazie occorse a piccoli azionisti di Telecom, Tiscali, Finmeccanica, Fiat, Saras, Pirelli, Unicredit e tante altre. Ora è il turno di A2A. Di ciascuna si potranno poi trovare tutte le giustificazioni possibili per le loro debacle, ma ciò che resta ai piccoli risparmiatori cassettisti è il rammarico per la grossa perdita subita. 

Ricordo ancora il bel servizio che le fece TgRai, ai tempi del collocamento in borsa, avvenuto circa 15 anni fa. Un servizio che metteva in risalto il grande valore intrinseco della società, partendo dagli impianti idroelettrici che detiene in Valtellina.
Credo che in questi circa 15 anni le azioni di AEM abbiano toccato anche la quotazione di 6 euro, e ieri, al quinto giorno di ribasso consecutivo, e dopo l'annuncio che quest'anno non distribuirà dividendo, l'azione è scesa sotto i 0,7 euro, perdendo un ulteriore 4% rispetto al giorno precedente. Un bel tonfo, paragonato ai massimi raggiunti negli anni addietro.

Tra le cause, si viene a scoprire che nell'azienda ci sono 23 amministratori, che, secondo Bruno Tabacci, assessore al Bilancio del Comune di Milano (Milano e Brescia detengono il 27,4 % ciascuna di A2A) "sono una cosa che grida vendetta, non si amministra con questi numeri di consiglieri, con stipendi che sono una schiaffo alla crisi" e l'acquisizione della montenegrina Epcg, costata circa 500 milioni di euro, è stata definita  "una decisione sbagliata" .

Tutto questo avveniva mentre i farlocchi ne tessevano le lodi.
    

venerdì, marzo 09, 2012

Attualità di Sciascia

Immagine-a-colori-di-Orso-Maria-Guerrini-e-Sebastiano-Somma

Del Teatro di Nova Milanese ne parlai in occasione di alcune rappresentazioni degli Attori per caso, e degli Universitari del Tempo Libero. Questi ultimi nel maggio dello scorso anno si erano cimentati in una scena tratta dal romanzo Uomo di rispetto, di autore anonimo. L'anonimato era comprensibile in quegli anni. Scritto, infatti, negli anni '80, parla di mafia, e l'esporsi su tale argomento in quel periodo era molto pericolso. L'autore parla coraggiosamente anche di Riina e Provenzano, quando questi erano ancora in libera circolazione, e dell'assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa perpetrato dalla mafia. Nel romanzo la narrazione della storia della mafia parte da quando il vertice era ancora saldamente in mano al medico di Corleone Michele Navarra.

Il grande romanzo sulla mafia resta comunque Il giorno della civetta di Leonardo Sciascia, scritto oltre vent'anni prima dell'Uomo di rispetto.
Domani sera, sabato 10 marzo 2012, sullo stesso palco che verrà ricalcato prossimamente dagli Attori per caso e dagli Universitari del Tempo Libero, ci saranno, tra gli altri, gli attori Orso Maria Guerrini e Sebastiano Somma, sotto la regia di Fabrizio Catalano.

Di seguito, la presentazione dello spettacolo, tratta dalla news del Comune di Nova Milanese.

Un paese di poche migliaia di abitanti, nell’entroterra siciliano.
Un freddo mattino d’inverno.
La luce d’un pallido sole riflessa sull’asfalto bagnato.
Una piazza.
Un autobus, il motore già acceso, che s’appresta a partire.

Gli ultimi passeggeri s’affrettano a salire, mentre gli altri aspettano fiduciosi la partenza dell’autobus, dietro i finestrini appannati.
Un uomo, vestito di scuro, s’avvicina, di corsa.
Posa il piede sinistro sul predellino dell’autobus, sta per rivolgersi all’autista.
All’improvviso, un bagliore, seguito da un rumore sordo: l’uomo rimane quasi sospeso, per qualche istante, prima di afflosciarsi sull’asfalto: morto.
Il giorno della civetta si apre su un assassinio: Salvatore Colasberna viene ucciso mentre prende l'autobus, perché è un imprenditore onesto.
Viene giustiziato sulla piazza, in una livida mattina d'inverno...
E’ la storia dell’inchiesta condotta, a partire da questo omicidio, da un capitano dei carabinieri appena arrivato in Sicilia, dalla lontana Parma, all’inizio degli anni 60.
Il capitano Bellodi è un uomo onesto ed intelligente, pronto ad affrontare qualunque difficoltà, pur di far bene il proprio dovere.
Affronta con ardimento un cammino irto di ostacoli per arrestare tutti i veri colpevoli, fino al vertice della piramide mafiosa: Don Mariano, anello di congiunzione con il principale partito di governo.
In fondo a questo percorso, c’è la verità; ma la verità, spesso, in Sicilia, ha troppe facce.
Finale positivo? No: né nel romanzo nè nell'adattamento teatrale. Il Capitano sarà premiato con una licenza ed una promozione.

Note di regia

Oggi, guardandoci intorno, leggendo i giornali, viaggiando, possiamo, in tutta sincerità, dire che soltanto in Sicilia i soprusi e le ingiustizie vengono imposti con la violenza?
Ed in Italia, in Europa, nel mondo, non vige forse la legge del più forte?
Chi tocca gli interessi dei potenti, che quasi mai coincidono con quelli del comune cittadino, muore.
Chi ha il potere, ne abusa. In pochi protestano, in pochi si oppongono.
Credo che ci sia bisogno di parlare di giustizia, ci sia bisogno di un’ostinata ricerca della verità, anche là dove questa verità inevitabilmente sfugge, ci sia bisogno di un capitano Bellodi, del suo volersi rompere la testa contro un muro che a quaranta anni di distanza è ancora solido e ben protetto.
Il giorno della civetta è un romanzo di inquietante attualità.
Gli interrogativi che Sciascia poneva nel 1961 rimangono ancora aperti, le zone d’ombra non ancora chiarite.

martedì, marzo 06, 2012

Lo Stendhal promotore turistico


Bellagio - dal sito Lago di Como.org
La Certosa di Parma è il capolavoro di Stendhal rispolverato da Rai1 domenica 4 e lunedì 5 marzo 2012. Come racconta lo stesso autore, la prima idea del romanzo gli era venuta il 3 settembre del 1838. In due mesi elaborò nella mente la trama di tutto il romanzo, e il 4 novembre si rinchiuse tra le mura della sua casa parigina, per scriverlo, in completo isolamento dal mondo esterno. Terminò la stesura in appena cinquantadue giorni, nel giorno di Natale 1838.
Ho spesso citato il romanzo in questo blog, a proposito della sindrome di Stendhal, dell'apoteosi del gonzo, del mio incontro con Guareschi, e della località di Belgirate sul Lago Maggiore. In vari post ho poi spesso citato il Lago di Como per essere il più  bello del mondo. L'ispirazione m'era venuta da queste pagine del romanzo: 

Stralcio dal Capitolo IX - La Certosa di Parma

I suoi occhi (di Fabrizio Del Dongo - ndr), fissi alla finestra della camera di quell'uomo severo che non lo aveva mai amato (suo padre - ndr), si riempirono di lacrime. Ebbe un fremito, ed un gelo improvviso gli corse per le vene quando gli parve di riconoscere suo padre in un uomo che attraversava la terrazza della sua stanza adorna di piante d'arancio, ma era solo un cameriere. Sotto il campanile, vicinissime, numerose fanciulle vestite di bianco e divise in vari gruppi, erano intente a comporre disegni, con fiori rossi, azzurri e gialli sul selciato delle strade per le quali doveva passare la processione.
Ma c'era uno spettacolo che destava un'impressione ben più viva in Fabrizio: dal campanile, ad una distanza di diversi chilometri, dominava con lo sguardo i due rami del lago e quella vista sublime gli fece dimenticare tutto il resto; risvegliava in lui i sentimenti più elevati. Tutti i ricordi della sua infanzia gli si affollarono nella mente e quella giornata trascorsa rinchiuso in un campanile, fu, forse, una delle più felici della sua vita.
La gioia lo portò a vedere le cose con molto distacco, cosa estranea al suo carattere. Giudicava gli avvenimenti della sua vita, lui, tanto giovane, come se fosse ormai giunto al termine. 
...
Fabrizio non aveva ancora fatto una lega, e già su di una striscia di vivido candore si disegnavano ad oriente i picchi del Resegone di Lecco, una montagna celebre nel paese. La strada che stava percorrendo si affollava di contadini; ma, anzichè farsi prendere da idee militaresche, Fabrizio si lasciava intenerire dalla bellezza sublime e commovente delle foreste che contornavano il lago di Como. Esse sono forse le più belle del mondo; non nel senso che rendono di più in moneta sonante, come direbbero in Svizzera, ma perchè parlano di più al cuore. 
...  

domenica, marzo 04, 2012

La mia terra


Villa Crivelli Pusterla - Limbiate. Dal sito Lombardia Beni Culturali

Dal capitolo IV del romanzo storico Margherita Pusterla - di Cesare Cantù
A chi esce da quella porta verso Como (Porta Comasina), dopo corse dieci miglia, tra Boisio (Bovisio Masciago) e Limbiate, s'affaccia sulla mancina un vago palazzetto, a cui la lieta situazione fece dar il nome di Montebello (ora Mombello). Sta sul colmo d'un poggetto, ultimo ondeggiamento del terreno, che, via via digradando dopo le altissime vette delle Alpi, qui viene a perdersi nell'interminabile pianura lombarda. Di lassù spazia lo sguardo sopra le feconde campagne del milanese, da cui sorgono tratto tratto casali, grosse terre, borgate, e più in là la metropoli dell'Insubria, colla meravigliosa mole del Duomo, monumento dell'originalità e della potenza dei tempi robusti e credenti; dall'altra parte vagheggia un cerchio di colline, poi di superbe montagne, che a mattino e a tramontana limitano l'orizzonte, varie di forma, di altezza, di tinte, alcune verdeggianti e coltivate a frumento e a vigne, altre non vestite che di boscaglie, altre infine spogliate e squallide siccome la vecchiaia dell'uomo, che male trascorse la sua gioventù.
Quel palagio, come ora è, fu rifabbricato dai signori Crivelli nel secolo scorso; negli ultimi anni del quale venne in celebrità, allorquando il giovane Bonaparte, scese, a nome della repubblica francese a render serva la Lombardia col titolo di liberarla, colà si piacque di porre alcun tempo il suo quartier generale. Ivi, attorno al giovane eroe, figlio della libertà, e che credevano intento a dispensarla, mentre non mirava che a farsene erede, accorrevano a portare servilissimi omaggi i deputati delle improvvisate repubbliche d'Italia, alle quali la prepotenza militare avea diminuito il numero delle azioni libere, cresciuto quello delle obbligatorie, concesso licenza di pagare assai più, e di piantar sulle piazze un grand'albero, intorno a cui far gazzarre e risa e balli e canti, finchè a qualche burbanzoso uffiziale non piacesse intimare silenzio. Di tali dimostrazioni rideva il Bonaparte in questa villa; rideva della sincerità de' pochi; e giovavasi dell'astuzia dei più: ed intanto preparavasi a mercatare Venezia ed a spianare a se medesimo la via di salire ad un trono, innalzatogli da coloro che dianzi, coll'abbatterne un altro, avevano proclamato al mondo lo sterminio dei regnanti e l'era della libertà e dell'eguaglianza, - non però della giustizia.


Napoleone Bonaparte - dal sito Margherita Campaniolo

            

giovedì, marzo 01, 2012

Il crollo dello spread

Per i titoli di Stato italiani sta avvenendo un fatto che ha dell'incredibile, in paragone a quello che succedeva fino a soli pochi giorni fa: prosegue vistosamente il recupero dei prezzi, ciò che fa scendere altrettanto vistosamente i rendimenti. Il recupero di oggi ha poi contagiato fortemente anche la borsa, che ha chiuso con un guadagno del 2,93%.
In dettaglio, il rendimento del Btp decennale è sceso al 4,91%, che ha fatto crollare lo spread con il corrispondente Bund tedesco a 306 punti base.
Il rendimento dei Btp a 2 anni è sceso a livelli che non si vedevano da molti mesi: 1,62%, 46 punti base in meno di ieri. Su questa scadenza lo spread con l'analogo Bund tedesco è di appena 142 punti.

Pare proprio si stia andando in direzione opposta, rispetto a quanto aveva previsto in novembre dell'anno scorso Roubini per l'Italia: il default entro la fine di quest'anno. Quanti gli han dato retta, e si son messi a vendere a man bassa i titoli di Stato italiani, ora si staranno leccando le ferite. Per coloro calza a pennello l'aforisma di Totò sui fessi:

Lo so, dovrei lavorare invece di cercare dei fessi da imbrogliare, ma non posso, perché nella vita ci sono più fessi che datori di lavoro.

(Totò, in Totòtruffa 62, 1961)


 

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