marshall

venerdì, gennaio 25, 2008

Omaggio a Ferrara e Milano

In attesa di completare la rilettura dei Promessi Sposi, alla ricerca di episodi che si svolgano lungo i Navigli di Milano, scritti con la meticolosità e la ricchezza di particolari che è propria del Manzoni, e nella quale egli rivela tutta la sua maestria; alla ricerca di descrizioni sulla fantastica bellezza che i Navigli conferivano alla città; in quell'attesa, dicevo, pubblico il post che avevo scritto per amici ferraresi di ferrara.splinder.com, circa un anno fa. Un post che era nato quasi come una dimostrazione del fatto che si possa amare indicibilmente una città o un sito, pur non essendoci mai stato di persona; un fatto che, per gli amici di Ferrara, aveva dell'incredibile. In tal modo, nacque il post qui sotto, già pubblicato sul loro blog. Ad un attento osservatore non può mancare di scorgervi anche un ipotetico gemellaggio tra le città di Ferrara e Milano.


Omaggio a Ferrara

Tutta colpa di Lazzaro Scacerni, il mio innamoramento, quasi viscerale, per Ferrara; ora attenuato, fortunatamente per me. Fortunatamente perché così non mi viene più in mente di pensare in continuazione al Po, alle sue curve, alle sue anse, alle sue secche e alle sue piene, ai suoi mulini fluviali che ora non ci sono più. E Ferrara con il suo bel Castello Estense, i suoi bastioni, le Mura e i terrapieni alberati, il Montagnone, le sue bellezze artistiche, i suoi musei, i suoi tesori d’arte. Il Teatro Comunale dotato di un’acustica perfetta che abbiamo potuto verificare, ascoltando, in una memorabile esecuzione trasmessa anni fa da Rai1, il Don Giovanni di Mozart; perfezione acustica che lo fa primeggiare, per questa caratteristica, in tutta Europa. E poi, i comuni della provincia di Ferrara, molti dei quali sono stati descritti mirabilmente, anche se, forse, con l’aggiunta di particolari fantasiosi, dalla versatile penna di Riccardo Bacchelli. Da molto tempo avevo in mente di leggere Il Mulino del Po, fin dai tempi della versione televisiva di Sandro Bolchi, che all’epoca ebbe un successo strepitoso, ma della quale sono riuscito a vedere solo qualche puntata, anche quando è stata ritrasmessa in versione integrale negli anni ottanta. La voluminosità dell’opera, con le sue oltre 2000 pagine di romanzo, mi hanno però sempre dissuaso dall’iniziarne la lettura: dovevo prima dedicare quel tempo ad altre opere fondamentali e di più breve durata. Ci voleva l’occasione e l’input, affinché mi dedicassi alla lettura del Mulino del Po. L’occasione mi fu propiziata, e l’input venne quasi casualmente. Era l’autunno del 2004, ormai avevo letto le dodici opere fondamentali che mi erano state regalate ad iniziare dall’autunno 2000, anno per me fatidico. Un giorno di quel 2004 stavo sfogliando distrattamente una recente antologia scolastica, quando, quasi volutamente, il mio occhio cadde su una pagina contenente un episodio del Mulino del Po. Devo sottolineare che gli autori di quell’antologia sono stati perspicaci, furbi e intelligenti: notai che di ogni opera recensita, pubblicavano le pagine che più di tutte potessero accendere la fantasia e la curiosità del lettore, tanto da spingerlo a completare la lettura, stimolandolo a procurarsi l’opera. Per il Mulino del Po, scelsero l’episodio in cui si narra di Lazzaro Scacerni che, di ritorno dalla Campagna di Russia, con in tasca la mappa del tesoro che gli aveva lasciato il capitano Mazzacorati, per poter leggere la mappa doveva giocoforza imparare a leggere, perchè non si sarebbe fidato di affidarne la lettura ad altri. E così si reca nella bottega di un merciaio di Codigoro per acquistare un lunario. Invece, ne esce con un sillabario e dopo aver appreso dal bottegaio i rudimenti fondamentali per intraprendere un corso privato (ma fu necessario un maestro) di lettura. Ciò che avviene in quella mezz’ora, o forse più, di permanenza in quella bottega, tra lui, il bottegaio ed altri avventori è degno di una rappresentazione teatrale (l’ho già consigliata al giovane gruppo teatrale del mio paese). A questo punto, sarebbe quasi superfluo dire che quel giorno stesso mi procurai l’opera completa che terminai di leggere dopo sei mesi. Non fu una lettura scorrevole come un normale romanzo. E’ pieno di riferimenti storici, di citazioni di personaggi storici: statisti, scrittori, artisti, pittori, ecc. Per cui dovetti leggere con al fianco cartine geografiche, piante delle provincia di Ferrara, Rovigo e Bologna; testi di storia (non avevo ancora internet); libri d’arte. Il Mulino del Po è un compendio di tutto quanto ho citato. Per quest’opera, anche se, soprattutto nella terza parte, l’autore si perde un po’ nell’allungare troppo la trama del racconto vero e proprio, con particolari, richiami e ripetizioni che a volte risultano perfino inutili per la comprensione del filo logico del romanzo, pur tuttavia Riccardo Bacchelli, con quest’opera monumentale si sarebbe meritato il premio nobel. Il merito di quest’opera è superiore a quello che gli Accademici di Stoccolma hanno conferito all’opera di Dario Fo, Mistero buffo. A detta di letterati e critici, Bacchelli, già candidato al nobel da vari anni, ha cessato di esserlo dopo aver pubblicato, nel 1953, Il figlio di Stalin, romanzo storico risultato particolarmente sgradito al regime comunista sovietico di quegli anni. Il romanzo racconta infatti il dramma del figlio del dittatore, Jacob Giugasvili che, cercando di sfuggire alla schiacciante figura paterna, viene catturato dai tedeschi e muore in un lager. A chi dovesse leggere il Mulino del Po, non verrebbe mai in mente di pensare che il colpo di fulmine, l’input iniziale a scrivere quest’opera fu propiziata da una visione milanese, e che poi tutto il romanzo fosse stato scritto a Milano. Riccardo Bacchelli lavorava al Corriere e, per un certo periodo ha abitato in un appartamentino ricavato in un abbaino di via San Marco. Bacchelli era giunto a Milano nel ’25, e a quel tempo vi scorrevano ancora tutti i navigli a cielo aperto di cui la città era ricca . Un ramo scorreva in via San Marco, al termine della quale, sotto un ponte dove adesso passa la circonvallazione interna di Milano, c’era una sorta di lago, un vascone – il Tombone di San Marco – dove il naviglio faceva un salto; questo salto alimentava un mulino ad acqua, visibile ancora negli anni ’70, perché rimasto come ricordo storico della Vecchia Milano, e forse anche per legarlo al Mulino del Po (vedi nota). Io ho fatto in tempo a vederlo e, francamente, non so se esista ancora. Riccardo Bacchelli, dalla finestra del suo abbaino vedeva ruotare le pale del mulino di via San Marco, finchè gli venne l’ispirazione per il suo romanzo che scrisse di getto, in tre anni, a partire dal 1938, in quella stanza. Se avesse avuto il tempo e la tranquillità necessaria per una grande opera di “abbellimento”, di rimaneggiamento, di revisione, di correzione Il Mulino del Po sarebbe diventato il “Capolavoro della letteratura italiana” alla pari, e forse più, dei Promessi Sposi; tanti e tali sono gli avvenimenti storici, i fatti, la cronaca, le leggende descritte nel romanzo. Ma poiché scriveva “per vivere”, e oltretutto i suoi romanzi li scriveva nel dopolavoro di cronista-giornalista del Corriere della Sera, Il Mulino del Po è venuto per come lo conosciamo, salvo correzioni, ritocchi, rimaneggiamenti, piccole modifiche avvenute prima dell’edizione definitiva del 1957. La ragione affettiva e vera che dunque mi lega fortemente a Ferrara è stata scaturita da questa vicinanza, o gemellaggio che ho creato dentro la mia fantasia, tra la città di Ferrara e la città di Milano nella quale vivo, e dove ho bazzicato, per alcuni anni, proprio quella via San Marco dove Bacchelli ha partorito e scritto il suo capolavoro. Ad ogni modo, il mio amore per Ferrara e la sua Terra, non è certo dovuto solo a Riccardo Bacchelli, ma a tante altre belle cose che ho scoperto prima, nel frattempo e dopo. E qui vago nel mondo della fantasia. Trovo strano, per esempio, che nessuno abbia avuto in mente, finora, un film colossal, una fiction sulla vita di Ludovico Ariosto. Pensate a come sarebbe avvincente la sua storia, almeno per me (proporrò l’idea a Mediaset, assumendomene la paternità). E’ vagamente noto, o storicamente noto, che Ludovico Ariosto avesse una sua tipografia lì a Ferrara o che, quantomeno, ne fosse socio, o, perlomeno, socio finanziatore. Quella di Ferrara è stata una delle prime tipografie ad essere impiantate in Italia, dopo l’invenzione del Gutenberg. E’ quindi logico pensare che tale attività richiedesse notevoli capitali: l’Ariosto si è sicuramente buttato nell’impresa, essendo stato molto perspicace anche in questo. Ariosto era un frequentatore assiduo della sua tipografia. Lui vivente, uscirono trentadue edizioni dell’Orlando furioso; ognuna con modifiche rispetto la precedente. La sua notorietà si diffuse rapidamente in tutta Europa, già dalla prima edizione. Ancora oggi, dopo quasi cinquecento anni, le gesta di Orlando e di Rinaldo vengono rappresentate nei teatri di marionette, particolarmente a Siracusa dove ci sono teatri di marionette a loro dedicati e dove c’è ancora, forse, e forse unica sopravvissuta, una scuola dove insegnano a costruire (veri piccoli capolavori dell’artigianato), e successivamente a muovere, con la coordinazione della voce, i personaggi dell’Orlando furioso. La sua fama, in Ferrara e nel circondario di Ferrara, era diventata tale che si racconta – realtà frammista a leggenda – che, quando il Poeta si recava in tipografia (per la verità quasi tutti i giorni), si formavano crocchi di persone sulla strada, davanti alla stamperia, in attesa della sua uscita, per chiedergli anticipazioni sulle nuove gesta, cambiamenti su scene già scritte, inserimento di nuovi personaggi nell’opera, suggerimenti di vario genere, ecc. Un po’ quello che succede oggi per gli amanti di fiction o telenovele, dove i suggerimenti e i consigli del pubblico sono ben accetti. I suggerimenti e le critiche gli venivano anche da fuori, da lontano. Guardate, per esempio, quali modifiche si sentì in dovere di apportare in un episodio riguardante Veronica Gàmbara, la “Signora della Poesia”, Contessa di Correggio. Nella prima edizione del 1516 e nella revisione del 1521 scrive di lei, nominandola tra le altre donne illustri di Correggio che alla fine del poema accolgono il ritorno della nave del poeta: “Quella che scende con Ginevra al mare Veronica da Gambara mi pare”. Tralasciando i motivi della modifica (che nella ipotetica fiction televisiva occuperebbero una puntata), nella redazione definitiva e ampliata del poema, del 1532, ecco come quei versi sono stati modificati: “Mamma e Ginevra e l’altre da Correggio Veggo del molo in su l'estremo corno; Veronica da Gambara è con loro Sì grata a Febo e al santo aonio coro." Dopo Ariosto venne Torquato Tasso. E allora mi chiedo se Ferrara e i ferraresi mantengano e coltivino qualcosa della loro memoria storica di quegli anni. Perché il cinquecento è stato per Ferrara “assai generoso”, un “grande secolo”. Cos’altro amo e ammiro di Ferrara? Le storie di Giorgio Bassani che riesci a comprendere meglio, e a renderti utile per conoscere la città, se le leggi con la carta topografica di Ferrara sotto mano. La Millemiglia, che con la sua sosta sulla piazza principale di Ferrara ti consente una visione spettacolare, per me mozzafiato, della città. Una delle più ricche e belle biblioteche storiche del mondo, ricca di reperti unici. Il museo Lamborghini che vedendolo mi fa tornare agli anni della mia fanciullezza e giovinezza. Le Bonifiche Ferraresi (e come non esserne stati soci!) che con le sue opere ciclopiche ha “rubato” terre al mare, rendendole feconde e che danno una resa di produzione tra le più alte al mondo. Io direi che con quello che ho scritto all’inizio, tutto ciò basti ed avanzi per chiunque voglia tentare un approccio a Ferrara, e cominciare ad amarla così come la amo io. Nota le descrizioni di luoghi e fatti di questo post, sono frutto esclusivo della mia memoria; posso pertanto essere incorso in qualche errore ed omissione del tutto involontarie; come, per esempio, quel monumento al Mulino, o qualcosa di simile, che avevo visto, nei primi anni '70, in prossimità del cavalcavia che separa via San Marco da via Melchiorre Gioia, che pare non esista più, ma che io ricordo come se fosse stato (o vi è tuttora) il monumento di un mulino: appunto, del Po.

lunedì, gennaio 21, 2008

Delle capacità di governare

Chi ha un posto di lavoro, è meglio che se lo tenga caro!: di qualunque genere esso sia!
Dopo una giornata borsistica, a livello mondiale, come quella di oggi, non vedo niente di buono all'orizzonte; una giornata simile non la si vedeva dal settembre 2001, dopo l'abbattimento delleTorri Gemelle; inoltre, il problema dei rifiuti, causa del putiferio scoppiato a Napoli, che prima o poi potrebbe interessare altre città italiane (parola di esperti!) mette in guardia dall'eccesso dei consumi "inutili ad ogni costo": nella maggioranza delle case italiane si ammucchiano oggetti comprati e usati forse una sola volta (parola di esperti!).

Che fare, dunque? Chi ha un posto di lavoro, buono o cattivo, è meglio che se lo tenga stretto, e lavori in piena sintonia con l'azienda; facendosi partecipe ed interessato al suo buon andamento.

Un mio parente è già vittima di questa situazione che si va preannunciando: i dipendenti di una ditta di logistica, dove egli lavora (30 dipendenti), sono stati convocati dai sindacati, giorni or sono, per essere messi al corrente della grave situazione della loro azienda; situazione che, a dire il vero, era già traballante da oltre un anno, ed essi ne erano a conoscenza. Ma una grossa avvisaglia, di quanto sarebbe poi successo in questi giorni, l'avevano avuta a settembre scorso, quando, di ritorno dalle ferie, appresero che il loro maggior cliente (circa 50 % del giro di lavoro complessivo) aveva "trovato" una "sistemazione" a lui più conveniente. Cliente perso, e difficile da rimpiazzare; lavoro dimezzato; decisione di chiudere. A fine mese i circa trenta dipendenti riceveranno la lettera di licenziamento per guusta causa: l'azienda cessa l'attività e porta i libri in tribunale per tutelarsi da tutto. Questa la breve, sintetica storia di quanto stà accadendo anche in altre aziende lombarde.

Da qui in poi, vedremo quanto vale il nostro governo!

Aggiornamento delle ore 22

Sapevate che al Ministero dell'Ambiente ci sono 344 consulenti, pagati 100.000 euro l'anno ciascuno? E per far che cosa? Li ha voluti il ministro verde del sole che ride Pecoraro Scanio, il ministro ridolini, colui che ride anche ai funerali di stato; cento di quei consulenti stazionano perennemente nel suo ufficio per consigliarlo. Consigliarlo di che? dal momento che le cose vanno come stanno andando. A dare queste cifre è stato il programma televisivo di Vittorio Feltri e Roberto Vallini, Pensieri e Bamba, andato in onda stasera. L'argomento è stato tratto dal servizio pubblicato su Libero di sabato scorso, dove c'è l'elenco delle cose non fatte da codesto ministero; una sfilza di opere utili, alle quali egli ha detto di NO. No ai termovalorizzatori, no agli inceneritori, no alle discariche, no ai rigassificatori, no agli OGM, no alle grandi opere, ecc. I risultati dei suoi dinieghi, sono sotto gli occhi di tutti; per questa ragione gli è stato assegnato il Premio Bamba, un Bamba enorme, di dimensioni colossali.

venerdì, gennaio 18, 2008

Analogie col passato (seguito)

Gli avvenimenti di questi giorni: Papa Benedetto XVI costretto a declinare l'invito a presenziare all'inaugurazione dell'Anno Accademico all'Università La Sapienza di Roma; gli indicatori economici mondiali che segnalano quasi recessione, facendo precipitare le borse senza soluzione di continuità, mi hanno reso edotto dell'inutilità di completare il post sulle "analogie col passato"; lo faccio ugualmente per completare il ragionamento rimasto incompleto.
Con l'accostamento di Prodi al Ferrer dei Promessi Sposi, che ho fatto nel precedente post, ho voluto mettere a confronto l'arte menzoniera dei due personaggi, rappresentata con gli avvenimenti testè descritti, di ciascun personaggio; l'analogia col passato, invece, riguarda altre circostanze.
La settimana scorsa era uscita la notizia dell'istituzione di un organismo per il controllo dei prezzi; infatti, in questi giorni è stato nominato il Mister Prezzi; personaggio ben retribuito, dotato di staff, uffici e quantaltro, che reputo assolutamente inutile, data l'abbondanza di organismi a ciò preposti, già presenti in Italia, che a loro volta verrebbero resi inutili dall'istituzione di quest'ultimo. In quel capitolo dei Promessi Sposi, di cui al precedente post, si parla della carenza di pane dovuta al fatto che se ne era voluto fissare il prezzo per legge, senza prendere ad indagare sulle cause che ne avevano causato la penuria; cause che il Manzoni, pur inesperto dei fatti di economia, ben evidenzia nel suo capolavoro.
Negli anni '70, a noi vicini, era successo qualcosa di tristemente analogo; la crisi petrolifera aveva innescato aumenti a catena in tutti i comparti dell'economia. Si arrivò ai listini controllati. Ogni impresa commerciale aveva avuto l'obbligo di depositare quindicinalmente il proprio listino prezzi alla propria Camera di Commercio, e non poteva derogare da esso, pena multe e ammende. La cartiera presso cui lavoravo fu così costretta, per un periodo di circa tre anni, a tenere riunioni plenarie bisettimanali (la proprietà con la rete di vendita Lombardia e Piemonte al gran completo, oltre ai capi deposito di tutt'Italia) per studiare, di concerto, il listino prezzi che andava poi consegnato alla propria Camera entro il lunedì sera. E le variazioni di prezzo furono continuative; le cause che li facevano variare vorticosamente furono: l'adeguamento continuo allo scatto di contingenza, l'aumento continuo del costo del petrolio (per produrre un kilogrammo di carta ci voleva, e ci vuole tuttora, energia prodotta da un kilogrammo di petrolio, o suoi derivati), l'aumento continuo delle materie prime: cellulosa, pasta legno, amido, caolino ecc.

A proposito di pasta legno, conosco una persona, ex collega, camionista, che aveva una grande appezzamento di terreno nel polesine ferrarese, coltivato a barbabietole; quando venne la penuria di pasta legno, si convertì ai pioppi, dato che erano decuplicati di prezzo, mentre le bietole non rendevano più niente, e con essi riempì tutto il suo terreno, che oltretutto era molto adatto ai pioppeti, essendo ben irrigato dalle acque del Pò. Quando questi maturarono, dopo otto anni, la crisi di materie prime per cartiere era rientrata; il prezzo del legno di pioppo rientrò ai livelli precedenti la crisi; il mio collega fallì perchè nel frattempo si era indebitato per la parte di "guadagni che si era immaginato di realizzare se avesse venduto il legno ai prezzi cui era arrivato".

Ad ogni buon conto, come non era servito a niente, se non a far scoppiare i tumulti di San Martino, il prezzo imposto del pane in quel tumultuoso autunno 1628; così come non era servita a niente l'idea dei listini controllati, degli anni '70, tanto che i prezzi andarono comunque per il loro verso, e che ci furono addirittura momenti di mancanza di prodotti, tra cui alcuni tipi di carta (le senza legno) che diventavano irreperibili; così penso che non servirà a niente l'idea di Mister Prezzi, se non ad aver creato un altro buco di spesa.

sabato, gennaio 12, 2008

Analogie col passato

Nella contingenza attuale, Prodi mi sembra come il gran cancelliere Antonio Ferrer, facente veci del governatore di Milano, don Gonzalo Fernandez de Cordova, di manzoniana memoria, che per risolvere il problema della penuria di pane, ne aveva fissato il prezzo per legge; col risultato opposto che il pane scarseggiò ancor di più, fino a provocare i tumulti di San Martino del 1628, ricordati nell'episodio dell'assalto al Forno delle Grucce: vicenda storica che diede inizio ai tumulti.
Nella situazione attuale, provo compassione per Prodi; ma più ancora la provo per il popolo italiano da lui governato; ed è questo, in fondo, ciò che più mi rammarica, non certo per la sua sorte per la quale mi sento completamente passivo, estraneato, distaccato. Sento ancora le sue parole: "Vi stupiremo!"; ho ancora sotto gli occhi e nelle orecchie il suo messaggio agli italiani, alla vigilia del voto del 9 aprile 2006; ho ancora presente il comportamento dei partiti d'opposizione, durante il cinquennato di Berlusconi. Tutto questo è bastato e avanzato per aver creato la coscienza che di quell'opposizione, e di lui in particolare, mi sono fatto.
Nessuna stima, quindi, per un uomo che ha mentito sapendo di mentire; che ha promesso, sapendo di non potere o non volere mantenere. E' in tale atteggiamento che ho ravvisato la somiglianza con quella figura di Ferrer, descritta nei Promessi Sposi; egli, dopo aver creato le condizioni che hanno fatto innescare la sommossa - il suo incauto provvedimento di fissare il prezzo del pane per legge, anzichè incidere sulle cause che ne provocavano la penuria -, andava in soccorso del "povero" vicario di provvisione, il conte Lodovico Melzi, incolpevole capro espiatorio, salvandolo da sicuro linciaggio. L'agognato soccorso glielo portò facendo ricorso all'astuzia; mossa che però ai meno sprovveduti - che però erano in minoranza - non era sfuggita, e che tentarono in tutti i modi di smascherarla. (Con l'intento di far credere che andava ad arrestare "l'affamatore", in realtà Ferrer andava a trarre in salvo il conte Melzi).

Come Ferrer, salvatore del conte Melzi, Prodi aveva dato di sè l'immagine del Salvatore dell'Italia; di un'Italia che avrebbe corso una serie di "grandi pericoli", da un'eventuale riconferma di Berlusconi; e che, al contrario, sarebbe stata felice, unita e compatta sotto di lui; ed invece?... eccoci qua al dunque: siamo nella palta.

Nell'andamento delle borse degli ultimi sei mesi, e di quella italiana in particolare, vedo la chiave di lettura della mia affermazione.

(segue)

lunedì, gennaio 07, 2008

Se questi sono i nostri senatori!

Chi vusa pusè,
la vaca l'è sua.

Sarà perchè l'ho sempre vista accigliata, con espressione torva, incattivita quando dava le risposte flash ai cronisti televisivi. Ed erano risposte altisonanti, esplosive, da manuale. Per questo mi ero fatto di lei l'idea di una donna colta, preparata, combattiva, che incute anche paura. Ma quando ieri l'ho sentita parlare e finalmente ho potuto ascoltare un suo bandolo di discorso, m'ha fatto cadere le braccia. Oh sì, sto parlando della senatrice Palermo che ieri, in quel dibattito a otto in Domenica In, si è lasciata andare ad elogiare l'indennità di contingenza come sola salvaguardia del potere d'acquisto degli operai. E se l'è presa contro coloro che ne hanno voluto l'abolizione. E poi, quando le è stato chiesto del perchè non si è opposta o perchè non ha rinunciato all'aumento di 200 euro mensili dovuto ai senatori, non ha saputo che rispondere di meglio che un semplice: "ci è dovuto in virtù di un automatismo di legge, che equipara l'indennità parlamentare a quella dei magistrati". In tempi di "carestia" come questi (ma comunque i tempi saranno sempre così), sentire una simile risposta da una rappresentante del "popolo", da una che dovrebbe tutelare il potere d'acquisto delle classi sociali più disagiate, da una che si professa orgogliosamente "io sono dei comunisti italiani" (l'ha sottolineato in trasmissione ad un Giletti smemorato che l'aveva indicata di Rifondazione Comunista). Dopo, e nel corso del suo intervento, s'è presa una bella lavata di testa da parte della solita signora del pubblico. Lavata di testa che ho condiviso pienamente, e che le avrei fatto anch'io al suo posto. Alla fine di quel dibattito mi son detto che se il grado di cultura di certi senatori è questo, che Dio ce ne scampi!
Venire ad elogiare la contingenza, come unica salvaguardia del potere d'acquisto? Ma io manderei quei senatori a farsi un bel corso accelerato sulla storia italiana degli anni '70, di quando eravamo in "piena salvaguardia del potere d'acquisto, grazie alla contingenza". Vadano a studiare, quei senatori, cosa successe alle imprese italiane in quegli anni: la metà di esse, o forse più, furono spazzate via da fallimenti e dissesti a catena. Delle cartiere, dove ho lavorato, ne ho già parlato. Ma pensate semplicemente a Motta, Alemagna, Eldorado, Arrigoni, Bertolli, De Rica ecc., Innocenti, Autobianchi, Alfa Romeo ecc. dove la voce "manodopera" la faceva da padrone. Quei senatori dovrebbero anche studiare di quanta gente si era suicidata in conseguenza del fallimento o chiusura della propria azienda, in quegli anni, in quella situazione.
E quindi, quanta ignoranza denota quella presa di posizione in favore della contingenza. Due fatti: mio padre, alla fine anni '70 prendeva di contingenza il doppio della paga base, e poi la sua azienda fallì; la mia cartiera, dopo la prima crisi petrolifera degli anni '70, faceva riunioni plenarie bisettimanali per mettere a punto i listini prezzi, ma non fece in tempo ad adeguarli agli automatismi della contingenza (e chi ci sarebbe riuscito!), tanto che, anche per per questa causa, poi fallì.

domenica, gennaio 06, 2008

Una scommessa perduta: Ponte Silvio

Se da Cusano Milanino volevate raggiungere la Statale dei Giovi (Vecchia Comasina), per andare verso Como, o semplicemente verso Cormano, Ospitaletto, Novate, Bollate, Senago, fino a poco tempo fa non avevate granchè alternative: o "rischiare" il passaggio a livello che si frappone tra la via Marconi di Cusano e la via Nazario Sauro di Cormano, oppure?...girovagare in cerca di un'alternativa. Da qualche mese, questo peregrinaggio è finito: al posto del passaggio a livello, ora c'è un funzionale sottopassaggio ferroviario stradale che unisce quelle due vie. L'altro giorno, è stata una lieta sorpresa anche per me. Per me che mi ero sobbarcato quel casello per almeno trent'anni. Ora che a me non serve più, è stato finalmente realizzato. Eppure, per gli abitanti di Bresso, Cusano, Cinisello (un agglomerato che ora conta su almeno 130.000 abitanti), che fino ai primi anni settanta ambivano ad una gita a Como, quel passaggio a livello costituiva quasi una barriera in un attraversamento quasi obbligato. Il sottopassaggio lo si sarebbe dovuto costruire almeno trent'anni prima. E avrebbe fatto risparmiare code, ingorghi, inquinamento da CO2 e polveri sottili, e numerosi disagi ai frontisti di quelle strade che, fortunatamente o per caso, non erano numerosi; al di qua, verso Cusano, di importante c'era soltanto una bella palazzina, costruita negli anni '60, di sei o sette piani, i cui appartamenti si erano molto svalutati, a causa di quel passaggio in prossimità. Quasi di fronte, e a ridosso della ferrovia, c'era una ancor bella cascina d'epoca - o almeno quello che di essa rimaneva - adibita, una porzione ad abitazioni per famiglie disagiate (così m'era parso di vedere, una volta che per caso c'entrai in cerca di un artigiano di bigiotteria), e l'altra, per l'appunto, a laboratori artigianali. Al di la del passaggio a livello c'era, sulla destra della strada e a ridosso della ferrovia, un laboratorio distaccato della ZAINI S.P.A., antica e rinomata industria di cioccolata (per gli studenti dell'epoca era famosa per le barrette alla nocciola, vera ghiottoneria, e gli ovetti di cioccolata). Un alto muro di recinzione ne limitava la vista agli estranei; al di la del quale, lo stabilimento era immerso in una selva di alberi ad alto fusto, tra i quali enormi pini; sicchè lo stabile si trovava immerso nel verde in tutte le stagioni. Dall'altro lato della strada c'era un boschetto di tigli, o qualcos'altro di simile, all'interno del quale c'erano tre casette a fronte strada, e altre all'interno della selva, del tipo chalet, completamente abbandonati. Da li, chi proveniva da Cusano, poteva usufruire di quel boschetto come scorciatoia (oggi, ammesso che esista ancora, sarebbe assolutissimamente sconsigliabile perchè, verosimilmente, sarebbe "insito di pericoli"). Ed era una scorciatoia non da poco per chi voleva raggiungere il centro di Cormano, dove c'era, e forse c'è tuttora, una rinomata sala cinematografica. Un cinema, relegato tra i miei ricordi, che ho intitolato il mio Nuovo Cinema Paradiso.
Quel sottopassaggio, data la sua difficile ubicazione (strada stretta e con poche alternative per gli abitanti della zona durante il periodo di realizzazione) era stata considerata, fors'anche a ragione, un'opera di difficile realizzazione. Eppure, sotto il Governo Berlusconi era venuta quella spinta necessaria al coronamento del "sogno" di un esercito di cittadini. Questo fatto, per tante analogie mi ha riportato alla mente quell'altro sogno secolare, ormai svanito per sempre: Il Ponte sullo Stretto di Messina che non si realizzerà mai più. E per me è stata una scommessa perduta.

giovedì, gennaio 03, 2008

Come ci dipingono dall'estero

Le idee, quando sono buone,
sono ben accette
da qualsiasi parte esse vengano.

Interessante il blog di "ilconsiglio". Interessante dove tratta l'argomento di come veniamo dipinti dai grandi mass media internazionali. E particolarmente dove tratta l'argomento della fedeltà nelle traduzioni, e le sue implicazioni politiche. Mette sotto osservazione le più importanti testate giornalistico-televisive internazionali (Economist, Indipendent, CNN, New York Times, Times), e sonda come esse vedono - meglio ancora, come voglion far vedere - l'Italia e quindi che "visione" ne offrono ai loro lettori, che sono perlopiù digiuni dei nostri fatti e problemi interni. E se la prende coi traduttori che "traducono solo quel che vogliono, e lo traducono come vogliono". In tal modo, anche i traduttori sono "complici" nel non riferire correttamente lo stato d'animo degli stranieri nei confronti dell'Italia; perchè, stando a quanto scrivono di noi, nella lingua originale di certi articoli, godiamo di pessima reputazione presso le masse di quei popoli.

E così il blogger se la prende anche col programma delle Tre I, tanto caro a Berlusconi (una si riferiva all'insegnamento dell'inglese fin dalla prima elementare), che però non ha trovato pratica applicazione nel corso della passata legislatura; men che meno in quella attuale. E poichè i maggiori articoli internazionali sull'Italia vengono scritti in inglese, va da se che la padronanza di tale lingua permetterebbe a chiunque di leggere gli articoli che ci riguardano, nella lingua originale. Scopriremmo così, tanti altarini. I giornalisti nostrani, come abbiamo spesse volte dibattuto attraverso le pagine del Blog aggregante IlCastello, sono per buona parte immanicati con la politica; difficilmente, quindi, le loro traduzioni possono essere esenti da ingerenze del partito di appartenenza. Detto ciò, quelle traduzioni non riporteranno mai l'esatto pensiero originale dell'articolista.

Il blogger appunta l'attenzione su articoli del giornalismo internazionale mai giunti a noi, o mal tradotti, i quali nella versione originale gettano benzina sul fuoco del "nostro precario collante nazionale", oltre misura. In tal modo essi paventano, nell'imminente, la disgregazione politica nazionale, foriera di ben peggiori possibili eventi (destabilizzazione del "sistema Italia"). Nell'articolo, il blogger - pseudonimo l'Abate Vella - sembra voler mettere puntigliosamente in guardia sulla nuocibilità che scritti di quel genere - talora redatti in evidente malafede, travisando completamente la realtà - potrebbero produrre.
Il tema della "genuinità" delle traduzioni è un tema molto caro all'autore del blog, tantè che già nel post del 3 dicembre 2005 scriveva: "La patina ricopre tutto e tutti, appiccicosa lascia la sua bava, i suoi resti gelatinosi sugli eventi, malgrado ci provino mani esperte a ripulirli. Uno zuzzo storico ed indigesto, una genealogia ricostruita da falsari, novelli abati maltesi giunti a ricattare offrendo traduzioni su misura di un evento scritto in una lingua apparentemente astrusa, ma che il fiume carsico della nostra storia capisce benissimo".

http://ilconsiglio.blogspot.com/2007/12/una-delle-tre-i-del-programma-per-la.html

Dovremmo stare in guardia da queste cassandre, e da chi manipola o nasconde i loro messaggi forieri di grandi sventure. Lo "spregiudicato" comportamento di entrambi dovrebbe farci intuire che essi vogliano gettare benzina sul fuoco dei pur nostri grossi problemi nazionali per farci precipitare ancora più in basso di quello che già siamo, e "godere" così eventualmente dei vantaggi derivanti loro da un nostro malaugurabile "disastro".


 

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