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venerdì, agosto 12, 2011

Cultura finanziaria 4

Aldilà del panico

Lo scritto fa parte di un più ampio studio pubblicato da MORNINGSTAR il 30 giugno scorso, ed è stato messo a disposizione dei clienti di Fineco. Fa parte dei dieci articoli più letti dai loro clienti negli ultimi trenta giorni.
Autore: Francesco Lavecchia (*)
Banche, il downgrade fa davvero paura?

Gli analisti di Morningstar giudicano esagerata la reazione del mercato ai moniti delle agenzie di rating sul debito italiano.   

Moody's e Banca d'Italia dettano la ricetta al Governo

La decisione delle società di rating, prima S&P e poi Moody’s, di declassare da stabile a negativo l’outlook del debito italiano nel lungo periodo è dettagliatamente argomentata. Nelle loro relazioni, infatti, S&P e Moody’s hanno puntato il dito sulla debole crescita economica e sulla scarsa stabilità politica che stanno mettendo a rischio il raggiungimento dell’obiettivo fissato per il 2014 di portare il rapporto Debito/Pil a quota 113%. L’Italia, secondo le “big” del rating, “avrebbe bisogno di una maggior deregolamentazione del mercato del lavoro, di riforme che stimolino la produttività e che riducano le rigidità del nostro sistema economico, rese ancora più necessarie a causa dei limitati margini di azione imposti dall’appartenenza all’area Euro, in materia di politica monetaria, e per colpa del secondo più alto debito pubblico al mondo, che impedisce una politica fiscale espansiva”. Queste critiche non suonano certo come nuove ai palazzi del potere, anche l’ultimo rapporto annuale della Banca d’Italia evidenzia come il ritmo di crescita dell’Italia sia stato molto contenuto nel 2010 (+1,3%) e di come nei primi tre mesi dell’anno il progresso sia stato ampiamente inferiore a quella media dell’area Euro. “Il rafforzamento della ripresa e il ritorno a un sentiero di crescita più soddisfacente richiedono l’adozione di strategie innovative che accrescano la produttività e la profittabilità delle imprese”, è il suggerimento che viene da Palazzo Koch, che evidenzia come la produttività del Belpaese sia cresciuta solamente dello 0,1% annuo tra il 1998 e il 2007 (ben al di sotto di Francia, Germania e Regno Unito, che hanno registrato un incremento compreso tra l’1 e l’1,8%). Il governatore della Banca d’Italia individua nella capacità innovativa delle imprese quale “la leva fondamentale per migliorare l’efficienza produttiva” quindi, invita il governo ad investire fortemente nella ricerca.

(*) Francesco Lavecchia è Analista Azionario di Morningstar in Italia. Attenzione: Morningstar e i suoi dipendenti non forniscono alcun tipo di consulenza, né su investimenti in generale né su specifiche azioni. Puoi mandare un commento all'Autore accedendo al sito di Morningstar (http://www.morningstar.it/it/), facendo poi l'opportuna ricerca.

lunedì, agosto 08, 2011

Cultura finanziaria 3

Il debito delle future generazioni
Lo scritto è uno studio pubblicato da MORNINGSTAR il 28 luglio scorso, ed è stato messo a disposizione dei clienti di Fineco . Fa parte del gruppo dei dieci articoli più letti dai loro clienti negli ultimi trenta giorni.

Debito in eredità
Il fardello pubblico si mangia il Pil. I giovani, disincantati dalla finanza, pensano nel breve. E cercano sicurezza.
Autrice: Sara Silano (*) 28/7/2011
Gli Stati Uniti hanno un debito pubblico che è quasi equivalente al valore dei beni e servizi che producono ed ammonta a 14,46 mila miliardi di dollari. L’Italia ha un rapporto tra squilibrio del bilancio statale e Pil ancora più elevato (119%) e il Giappone più che doppio (dati del Fondo monetario internazionale). Un pesante fardello per le generazioni presenti, destinato a diventare ancora più oneroso per quelle che verranno. Come non dare ragione, dunque, ai critici del decennio appena trascorso, che accusano chi l’ha vissuto di avere lasciato in eredità un futuro di tasse e austerità per molti anni a venire?
Nel 1999, mentre si gonfiava la bolla tecnologica, è uscito un libro dal titolo evocativo per l’epoca: “Morire in bolletta e vivere felici”, a cura di due consulenti finanziari, Stephen M. Pollan e Mark LeVine. In una fase di grande euforia per i consumi e gli investimenti azionari, la ricetta proposta per “vivere da ricchi” era quella di programmare la propria esistenza con l’unico obiettivo di “morire in bolletta”. Oggi, paghiamo le conseguenze di questo modello di vita, che per molto tempo, è stato fatto proprio non solo dai consumatori americani, ma anche, con grande leggerezza, dagli stati.
La fine di un’epoca
Ai giovani di oggi, una proposta simile appare quasi irritante. Come emerge dall’ultima Indagine sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani, svolta dal Centro di ricerca e documenzione Luigi Einaudi di Torino e da Intesa Sanpaolo (in collaborazione con la Doxa), l’epoca dell’entusiasmo per la modernizzazione finanziaria è definitivamente tramontata. Il rapporto, che quest’anno ha fatto uno speciale focus sulle nuove generazioni, mette in luce come meno di un giovane su due si dichiari indipendente finanziariamente (il campione è di 403 persone tra i 18 e 29 anni) e tra questi chi risparmia lo fa prevalentemente per “motivi precauzionali”, un futuro matrimonio o l’acquisto della casa. La maggior parte lascia i soldi sul conto corrente e chi investe ricerca strumenti sicuri.
Il succedersi delle crisi ha spazzato via l’idea che la finanza abbia poteri miracolosi e sia la chiave di volta per “vivere da ricchi”. Al contrario, è forte la convizione che non possa risolvere i problemi dell’insufficienza del reddito e che non ci sia investimento privo di rischio. Le richieste che emergono con più frequenza, dunque, sono: una maggior tutela dei propri investimenti e più informazione e consulenza per commettere meno errori possibili. Se dieci anni fa, uno studente universitario si divertiva a fare trading su qualche titolo Internet, sognando di diventare un piccolo Gordon Gekko, lo spregiudicato protagonista di Wall Street, impersonato da Michael Douglas nel film di Oliver Stone; oggi si domanda cosa succederà ai suoi risparmi se l’Italia o gli Stati Uniti falliscono e come può proteggerli.
Rischio breve termine
Questo atteggiamento evita gli eccessi, ma ha un rovescio della medaglia: induce a pensare nel breve termine piuttosto che fare una pianificazione finanziaria di ampio respiro. La prova viene dalla scarsa attenzione per il tema previdenziale. Dall’indagine emerge che più di un giovane su due non sa formulare alcuna ipotesi su quale sarà la sua pensione “pubblica” e sono pochi quelli che pensano a un’integrazione. Questa logica “dell’oggi” e del parcheggio della liquidità sui conti remunerati rischia di togliere un altro pezzo di futuro alle nuove generazioni. Il tasso di sostituzione, che esprime il rapporto tra la prima rata annua di pensione percepita e l’ultima retribuzione annua, è in calo. A complicare la situazione, c’è un tasso di inflazione che è in crescita e minaccia il valore dei risparmi, soprattutto quelli lasciati liquidi, perché la remunerazione è spesso troppo bassa per compensare la perdita di potere d’acquisto. C’è anche un mercato dei titoli di stato che non dà più le sicurezze di un tempo a causa della crisi del debito sovrano.
I giovani sentono il mondo dell’economia lontano dai loro bisogni, ma nello stesso tempo chiedono più formazione per gestire i loro soldi. Perché non cominciare a insegnarglielo nelle scuole superiori come già accade negli Stati Uniti dagli anni Settanta?
(*) Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia. Attenzione: Morningstar e i suoi dipendenti non forniscono alcun tipo di consulenza, né su investimenti in generale né su specifici fondi. Puoi mandare un commento all'Autore accedendo al sito di Morningstar (http://www.morningstar.it/it/), facendo poi l'opportuna ricerca.

giovedì, agosto 04, 2011

Cultura finanziaria 2

Un pò di ottimismo
Lo scritto è uno studio pubblicato da MORNINGSTAR il 21 luglio scorso, ed è stato messo a disposizione dei clienti di Fineco . Fa parte del gruppo dei dieci articoli più letti dai loro clienti durante il mese di luglio.
Italia, debito e senso di responsabilità
Secondo i canoni economici-finanziari, il Belpaese è messo meglio degli altri Pigs, ma ha un problema in più: scandali e riottosità politica.
Autrice: Sara Silano 21-07-11 (*)
E’ più preoccupante il rialzo dei tassi o la crisi del debito sovrano? Per un italiano entrambi i fenomeni fanno suonare il campanello di allarme. Da un lato, la crescita dei saggi di riferimento da parte della Banca centrale europea aumenta il costo di finanziamento pubblico; dall’altro i problemi dei paesi periferici fanno schizzare gli spread rispetto al Bund tedesco, considerato come sicuro.
La domanda corretta da porsi, dunque, è: quanto è sostenibile il debito governativo italiano? Uno studio di Morgan Stanley simula un incremento del costo di finanziamento di 300 punti base dai livelli attuali nell’arco del biennio, fino ad arrivare a un tasso medio del 7%, che è considerato il punto di pareggio, al di sopra del quale il debito del Belpaese potrebbe non essere più sostenibile.
Il primo effetto dell’aumento dei tassi è che lo stato deve pagare interessi più alti, il che alimenta il circolo vizioso del debito. La notizia positiva, però, è che l’impatto dell’incremento dei tassi è graduale nel tempo, dal momento che la maturity media dei titoli è di sette anni. In pratica esso incide solo sul rinnovo delle vecchie emissioni quando giungono a scadenza o su quelle nuove, non sull’intero stock.
Il problema è la crescita economica
Il report, firmato da Daniele Antonucci e Elaine Lin, considera l’aumento dei tassi di interesse dei titoli di stato dall’attuale 4% circa al 7% (300 bp) come sostenibile senza che il governo debba ricorrere a nuove misure fiscali straordinarie. Ciò è possibile, tuttavia, solo se il bilancio pubblico riesce a rispettare le previsioni di un avanzo primario dell’1% nel 2011 e del 2% nel 2012. In pratica, la differenza tra entrate e uscite d’esercizio, esclusi gli interessi sul debito, deve essere positiva. Altra condizione è che la crescita del Pil non scenda sotto l’1% e l’inflazione si aggiri attorno all’1.8%. La nota dolente è proprio lo sviluppo economico, per il quale gli analisti non si fanno grandi illusioni, perché è cronicamente basso, compromesso anche dalla mancanza di riforme strutturali che stimolino la produttività e competitività. D’altra parte questo non è stato neppure il focus della manovra straordinaria da 48 miliardi di euro, approvata in tempi record dal Parlamento la settimana scorsa, che è stata imperniata su misure d’austerità.
Pericolo contagio
Nella delicata situazione italiana si inserisce un’ulteriore minaccia, il pericolo di contagio della crisi del debito nella periferia di Eurolandia. Paradossalmente il salvataggio di paesi come la Grecia, che sono messi peggio dell’Italia, sposta l’attenzione degli investitori e soprattutto degli speculatori verso le altre nazioni deboli, costrette a finanziarsi sul mercato. L’Italia ha, dunque, fondamentali migliori rispetto agli altri Pigs (Portogallo, Irlanda, Grecia e Spagna), perché ha un surplus primario, un basso indebitamento del settore privato, un sistema bancario che ha evitato la crisi e non ha il problema di dover attrarre grandi capitali dall’estero. Tuttavia, non è del tutto al riparo dagli shock.
Cattivi esempi
In più il Belpaese ha un problema squisitamente italiano: la classe politica che con il suo agire non rappresenta un bel biglietto da visita per il mondo. Il premio per il rischio politico non è attualmente riflesso nei prezzi dei titoli, ma la storia degli ultimi 40 anni insegna che i mercati finanziari hanno reagito in modo brusco agli eventi politici. Nelle due settimane prima o dopo una crisi di governo, i tassi di interesse sono aumentati in media di 24 punti base, mentre la Borsa è scesa di circa il 5%. L’ingresso nell’euro ha attenuato negli anni passati questo effetto, ma la crisi del debito dei Piigs ha rimesso tutto in discussione. Con la conseguenza, che il rischio politico oggi ha un suo costo che però è pericolosamente oscurato da scandali e diatribe partitiche.

(*) Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia. Attenzione: Morningstar e i suoi dipendenti non forniscono alcun tipo di consulenza, né su investimenti in generale né su specifici fondi. Puoi mandare un commento all'Autore accedendo al sito di Morningstar (http://www.morningstar.it/it/), facendo poi l'opportuna ricerca.


 

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