giovedì, marzo 31, 2011
Il 20 luglio dell'anno scorso pubblicai un post sulla Precarietà sanitaria a Cuba. L'idea mi era venuta dopo aver letto un articolo apparso sulla rivista a diffusione locale di marzo 2010, I Luit: QUESTA . La notizia parlava del decesso avvenuto a Cuba di un turista italiano, Carlo Anselmi, per le conseguenze di una banale congestione. A causare il decesso, pare sia stato un episodio della malasanità cubana.
Ritorno sull'argomento perchè tra ieri e oggi ho avuto il record di passaggi dal blog, con i 289 di ieri e i 182 registrati finora alle ore 23. Di questi, ben 166 di ieri e 102 di oggi riguardano passaggi dal blog tramite Google, avendo digitato frasi inerenti quell'episodio disgraziato di Cuba.
In merito a ciò ho ricevuto stasera il seguente commento che metto in evidenza.
"Un consiglio spassionato da agente di viaggi: NON ANDATE PER NESSUNA RAGIONE A CUBA! aspettate almeno di vedere quel regime di corruzione e violenza finire definitivamente. I medici vi curano solo se avete dei dollari sonanti nelle saccocce altrimenti rischiate la morte. Se proprio vi prude il fondoschiena e volete partire ugualmente stipulate almeno un assicurazione con aziende che l'assistenza all'estero l'anno praticamente inventata, ovvero EUROPE ASSISTANCE con circa 150€ avrete dei massimali per il rimborso spese mediche e responsabilità civile da 250.000€!. State lontani dai regimi, boicottateli!. rt By CATDIGITALFILM, at 31 marzo 2011 19:06"
mercoledì, marzo 30, 2011
La poetica di Piccolo Mondo Antico



Nota: (*) ho letto anch'io il romanzo, ma per poterne assaporare tutte le sfumature ci ho impiegato giorni e giorni.
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sabato, marzo 19, 2011
Federalismo Municipale

Per capire meglio l'importante riforma, pubblichiamo il botta e risposta cui ha dato vita il periodico on-line della Lega Nord di Nova Milanese.
Prima considerazione
Una riforma come il Federalismo dovrebbe essere portata avanti con la condivisione di tutti e non come ha fatto il Governo con la sola maggioranza.
Risposta: FALSO
Il Governo, con il Ministro Calderoli ha cercato il dialogo non solo con l’opposizione ma anche con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani: infatti il decreto sul federalismo municipale e’ stato riscritto ben 4 volte dalla prima versione del 4 agosto 2010 e ben 50 dei 70 commi dell’articolato di legge sono stati costruiti insieme alle forze parlamentari e sono condivisi dall’Anci.
Nella bicameralina e in Parlamento le opposizioni e Fli hanno votato contro solo per ragioni di carattere politico ossia per cercare di affossare Berlusconi e non sono entrate nel merito del provvedimento (questo dimostra che del federalismo non gliene importa nulla)
Una riforma come il Federalismo dovrebbe essere portata avanti con la condivisione di tutti e non come ha fatto il Governo con la sola maggioranza.
Risposta: FALSO
Il Governo, con il Ministro Calderoli ha cercato il dialogo non solo con l’opposizione ma anche con l’Associazione Nazionale dei Comuni Italiani: infatti il decreto sul federalismo municipale e’ stato riscritto ben 4 volte dalla prima versione del 4 agosto 2010 e ben 50 dei 70 commi dell’articolato di legge sono stati costruiti insieme alle forze parlamentari e sono condivisi dall’Anci.
Nella bicameralina e in Parlamento le opposizioni e Fli hanno votato contro solo per ragioni di carattere politico ossia per cercare di affossare Berlusconi e non sono entrate nel merito del provvedimento (questo dimostra che del federalismo non gliene importa nulla)
Seconda considerazione
Con questo Federalismo Municipale in realtà non si concede autonomia fiscale ai comuni.
Risposta: FALSO
Cambia eccome, visto che si passa in parte da un sistema di finanza derivata (trasferimenti dello stato) ad un sistema di autonomia impositiva.
In particolare ai comuni saranno lasciate le seguenti imposte: l’intero gettito dell’Irpef sui redditi fondiari (escluso il reddito agrario) e quello relativo all’imposta di bollo e di registro sui contratti di locazione, compartecipazione del 30% al gettito delle imposte sui trasferimenti immobiliari, compartecipazione del 21,7% al gettito della cedolare secca sugli affitti, compartecipazione al gettito Iva per un importo di 2,889 miliardi di Euro.
Con questo Federalismo Municipale in realtà non si concede autonomia fiscale ai comuni.
Risposta: FALSO
Cambia eccome, visto che si passa in parte da un sistema di finanza derivata (trasferimenti dello stato) ad un sistema di autonomia impositiva.
In particolare ai comuni saranno lasciate le seguenti imposte: l’intero gettito dell’Irpef sui redditi fondiari (escluso il reddito agrario) e quello relativo all’imposta di bollo e di registro sui contratti di locazione, compartecipazione del 30% al gettito delle imposte sui trasferimenti immobiliari, compartecipazione del 21,7% al gettito della cedolare secca sugli affitti, compartecipazione al gettito Iva per un importo di 2,889 miliardi di Euro.
Terza considerazione
Con questo federalismo municipale ci saranno vantaggi per i comuni del Nord.
Risposta: VERO
Uno studio dell’Associazione degli Artigiani e Piccole Imprese di Mestre CGIA mette in evidenza che con il decreto sul federalismo municipale le realtà comunali del Centro Nord avranno più soldi in tasca.
Un cittadino lombardo avrà 39 euro pro-capite in più.
Con questo federalismo municipale ci saranno vantaggi per i comuni del Nord.
Risposta: VERO
Uno studio dell’Associazione degli Artigiani e Piccole Imprese di Mestre CGIA mette in evidenza che con il decreto sul federalismo municipale le realtà comunali del Centro Nord avranno più soldi in tasca.
Un cittadino lombardo avrà 39 euro pro-capite in più.
Quarta considerazione
Il Federalismo municipale penalizza i comuni del Sud.
Risposta: FALSO
Il Federalismo non penalizza né il Sud, né il Nord.
Viene infatti istituito un Fondo sperimentale di riequilibrio, di durata triennale, per eliminare eventuali disparità e per aiutare i piccoli comuni. Gli unici comuni a essere penalizzati saranno quelli che finora hanno speso troppo e ora non potranno più sprecare o rubare.
Il Federalismo municipale penalizza i comuni del Sud.
Risposta: FALSO
Il Federalismo non penalizza né il Sud, né il Nord.
Viene infatti istituito un Fondo sperimentale di riequilibrio, di durata triennale, per eliminare eventuali disparità e per aiutare i piccoli comuni. Gli unici comuni a essere penalizzati saranno quelli che finora hanno speso troppo e ora non potranno più sprecare o rubare.
Quinta considerazione
Con il federalismo municipale ci sarà una riduzione della pressione fiscale.
Risposta: VERO
Ci sarà un’evidente risparmio.
Pensiamo ad esempio alla cedolare secca sugli affitti relativi agli immobili abitativi: si pagherà il 19% o il 21% invece dei ben più elevati scaglioni Irpef (dal 23% al 43%) e delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione con notevoli vantaggi per i contribuenti.
Inoltre, a partire dal 2014 l’impostazione che si applicherà relativamente agli atti di trasferimento immobiliare passera’ dal 10% al 9% e dal 3% al 2% se il trasferimento avrà per oggetto la prima casa.
Inoltre i comuni che aiuteranno l’erario nella lotta all’evasione fiscale avranno diritto al 50% delle somme riscosse: quindi le zone che non pagavano le tasse le pagheranno e solo in questo modo si ridurranno per tutti.
Con il federalismo municipale ci sarà una riduzione della pressione fiscale.
Risposta: VERO
Ci sarà un’evidente risparmio.
Pensiamo ad esempio alla cedolare secca sugli affitti relativi agli immobili abitativi: si pagherà il 19% o il 21% invece dei ben più elevati scaglioni Irpef (dal 23% al 43%) e delle imposte di registro e di bollo sul contratto di locazione con notevoli vantaggi per i contribuenti.
Inoltre, a partire dal 2014 l’impostazione che si applicherà relativamente agli atti di trasferimento immobiliare passera’ dal 10% al 9% e dal 3% al 2% se il trasferimento avrà per oggetto la prima casa.
Inoltre i comuni che aiuteranno l’erario nella lotta all’evasione fiscale avranno diritto al 50% delle somme riscosse: quindi le zone che non pagavano le tasse le pagheranno e solo in questo modo si ridurranno per tutti.
Sesta considerazione
Con il Federalismo Fiscale viene istituita una nuova tassa, l’IMU.
Risposta: FALSO
L’imposta municipale unica (IMU), a decorrere dal 2014, non costituisce una nuova imposizione fiscale ma sostituisce imposte già esistenti come l’lCI vigente (quindi con esclusione della prima casa) e l’Irpef (e relative addizionali) da redditi fondiari non locati. L’aliquota stabilita e’ lo 0,76% e sarà unica e verrà applicata a tutte le tipologie di immobili.
Viene altresì previsto che i comuni possano, entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, ridurre tale aliquota sino a 0,3 punti percentuali.
Inoltre, a differenza di quanto accade ora, con l’applicazione del Federalismo municipale per l’immobile locato l’aliquota sarà ridotta della metà (la maggior parte della gente che possiede la seconda casa in genere la affitta).
Con il Federalismo Fiscale viene istituita una nuova tassa, l’IMU.
Risposta: FALSO
L’imposta municipale unica (IMU), a decorrere dal 2014, non costituisce una nuova imposizione fiscale ma sostituisce imposte già esistenti come l’lCI vigente (quindi con esclusione della prima casa) e l’Irpef (e relative addizionali) da redditi fondiari non locati. L’aliquota stabilita e’ lo 0,76% e sarà unica e verrà applicata a tutte le tipologie di immobili.
Viene altresì previsto che i comuni possano, entro il termine per la deliberazione del bilancio di previsione, ridurre tale aliquota sino a 0,3 punti percentuali.
Inoltre, a differenza di quanto accade ora, con l’applicazione del Federalismo municipale per l’immobile locato l’aliquota sarà ridotta della metà (la maggior parte della gente che possiede la seconda casa in genere la affitta).
Settima considerazione
Con l’introduzione della tassa di soggiorno e della tassa di scopo sono in arrivo nuove tasse per i cittadini.
Risposta: FALSO
Per quanto riguarda la tassa di soggiorno (una tassa sui turisti fino a 5 Euro per notte che potrà essere applicata dai comuni capoluogo di provincia e dalle città turistiche e d’arte) e la tassa di scopo (per la realizzazione di opere pubbliche) esse rientrano nel gruppo di tributi complementari che i comuni avranno la facoltà ma non l’obbligo di introdurre.
I proventi di eventuali tasse di soggiorno e di scopo saranno utilizzati per fare nuove opere pubbliche sul territorio.
Con l’introduzione della tassa di soggiorno e della tassa di scopo sono in arrivo nuove tasse per i cittadini.
Risposta: FALSO
Per quanto riguarda la tassa di soggiorno (una tassa sui turisti fino a 5 Euro per notte che potrà essere applicata dai comuni capoluogo di provincia e dalle città turistiche e d’arte) e la tassa di scopo (per la realizzazione di opere pubbliche) esse rientrano nel gruppo di tributi complementari che i comuni avranno la facoltà ma non l’obbligo di introdurre.
I proventi di eventuali tasse di soggiorno e di scopo saranno utilizzati per fare nuove opere pubbliche sul territorio.
Ottava considerazione
Con lo sblocco per i comuni dell’addizionale Irpef sono in arrivo nuove tasse per tutti i cittadini.
Risposta: FALSO
Anche in questo caso non si tratta di un obbligo ma bensì di una facoltà (tant’è vero che la Moratti ha già dichiarato che a Milano non applicherà alcun aumento) e comunque riguarda quei comuni che hanno un’aliquota inferiore allo 0,4% ai quali viene sì data potestà di aumentare l’addizionale comunale Irpef fino a un massimo dello 0,2% annuo ma il tetto fissato resta comunque quello dello 0,4%.
Con lo sblocco per i comuni dell’addizionale Irpef sono in arrivo nuove tasse per tutti i cittadini.
Risposta: FALSO
Anche in questo caso non si tratta di un obbligo ma bensì di una facoltà (tant’è vero che la Moratti ha già dichiarato che a Milano non applicherà alcun aumento) e comunque riguarda quei comuni che hanno un’aliquota inferiore allo 0,4% ai quali viene sì data potestà di aumentare l’addizionale comunale Irpef fino a un massimo dello 0,2% annuo ma il tetto fissato resta comunque quello dello 0,4%.
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Pare del tutto evidente che lo scopo principale della riforma sia stato quello di limitare al massimo ogni abuso e scelleratezza da parte di amministratori locali, rendendoli più responsabili dell'uso che faranno dei soldi raccolti con le tasse. Soldi che d'ora in poi arriveranno da un fondo di solidarietà comune nazionale, rigorosamente controllato, oltre che dalle tasse attualmente pagate, parte delle quali resteranno nel comune stesso dove verranno prodotte.
Sopra: Palazzo Chigi: da Wikipedia
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Etichette: politica economica
domenica, marzo 13, 2011
Il Secolo dei Genovesi

Nel periodo intercorso tra le sue due permanenze a Palermo, il nostro personaggio misterioso (**) visse a Genova per trentacinque anni, tra il 1580 e il 1615. Per me, che ho visto Genova solamente di passaggio, quando andavo a Savona e ad Albisola per vacanze, oppure quando ci passavo col treno per andare a Loano, leggere di questo fastoso periodo storico di Genova è stata per me una scoperta fantastica. E pensare che da giovane, alcuni dei ragazzi della mia compagnia eran capaci di partire da Milano in una sera qualunque di settimana, per andare a bere un caffè a Genova, ad imitazione di quanto facevano alcuni più grandi d'età. Oggi mi pento amaramente di non essermi mai fatto convincere ad aggregarmi a loro.
Per bellezza e ricchezza di contenuti, e per le emozioni che ha saputo suscitarmi il brano, lo trascrivo integralmente, dalla pagina 183 e seguenti dell'ormai famoso libro di Daniela Pizzagalli, La Signora della Pittura.
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"Trasferendosi dalla Sicilia in Liguria, il personaggio misterioso della nostra storia (*) non usciva sostanzialmente dal sistema politico instaurato in Italia dall'impero spagnolo. Con uno statuto del 1528 Genova si era costituita in repubblica oligarchica, controllata da Andrea Doria, principe occulto che, pur non assumendo ufficialmente il potere, aveva pilotato una clamorosa inversione di tendenza, abbandonando l'alleanza francese per fiancheggiare la Spagna e ottenendo in cambio da Carlo V il riconoscimento contrattuale dell'indipendenza della città.
La realistica opzione del Doria per il prevedibile vincitore dell'interminabile guerra europea rispondeva anche a considerazioni economiche: avendo l'avanzata ottomana creato difficoltà alle rotte commerciali d'Oriente, gli interessi genovesi dovevano orientarsi verso i nuovi mercati atlantici, aperti grazie a Colombo e ai suoi finanziatori, i sovrani spagnoli.
I patrimoni accumulati con i traffici intercontinentali furono impiegati soprattutto per sovvenzionare la macchina militare asburgica su cui Genova aveva puntato, arrivando a un regime quasi monopolistico dell'alta finanza, tanto che correva il detto: "L'oro e l'argento americani nascono oltre oceano, muoiono in Spagna e sono sepolti a Genova": Ed è chiamato "secolo dei genovesi" il periodo tra il 1528 e i primi decenni del Seicento.
La preminenza dei banchieri suscitava polemiche tra la popolazione, perchè si addossava loro la colpa dell'aumentato costo del denaro, con la conseguente crisi delle imprese artigianali, nonchè della decadenza dei traffici mercantili. In realtà, l'arricchimento della classe egemone non incrementava i commerci perchè era in atto quella trasformazione della società che distaccava l'aristocrazia dalle attività imprenditoriali, orientandola agli investimenti fondiari: poichè i titoli nobiliari erano legati al possesso della terra, si acquistavano feudi. Ma la rifeudalizzazione non era affatto remunerativa in Liguria, dove la terra era poco propizia all'agricoltura.
Le diverse concezioni di nobiltà, tra un patriziato ancora propenso alla mercatura e più aperto alla parità civile, e posizioni signorili fortemente gerarchizzate, si riflettevano anche sugli stili di vita: in città cominciarono a sorgere - immobilizzando immensi capitali - palazzi privati paragonabili a dimore di principi, una tendenza che impresse una svolta anche in campo artistico, con l'importazione di architetti in grado di disegnare il nuovo fastoso volto di Genova.
Anticamente l'abitato si era sviluppato ad anfiteatro attorno al porto e le prime dimore patrizie, in epoca medioevale, si allineavano lungo le strade confluenti al mare; ma la spinta rinnovatrice della metà del Cinquecento impose rettifiche al tracciato urbano, aprendo la Strada Nuova, (oggi Via Garibaldi) che avviò lo spostamento delle case dell'aristocrazia fuori dalle strettoie del tessuto medioevale. La domanda di più adeguati spazi residenziali, proveniente dalle maggiori famiglie, segnalava tangibilmente il progressivo allontanamento della classe dominante dalla vita del mare.
Strada Nuova, priva di ogni funzione viaria se non quella di dare accesso alle residenze aristocratiche, venne tracciata delimitando a nord il denso agglomerato cittadino, con andamento parallelo alla costa. Grimaldi, Pallavicini, Spinola e Doria furono i titolari dei primi palazzi di quel quartiere esclusivo, che costituiva una soluzione inedita nell'urbanistica italiana del tempo.
Nel clima concorrenziale instaurato dall'asta pubblica dei lotti, i nobili committenti e i loro architetti ingaggiarono un'ardua sfida su terreni contrapposti, il cui andamento in declivio imponeva la creazione di un linguaggio originale per scalare i dislivelli attraverso spazi continui, dalla strada alle logge e ai terrazzi pensili, in uno sfoggio creativo che inaugurava la stagione più esaltante dell'architettura genovese.
Determinante fu l'arrivo in città dell'architetto perugino Galeazzo Alessi, che vi lavorò dal 1548 al 1570, chiamato da Roma dove era stato aiuto del Sangallo. Massimo esponente del rinnovamento urbanistico, fu il creatore del palazzo cittadino genovese, derivato dalla maniera michelangiolesca, caratterizzato da facciate tripartite, dove le finestre assumono una funzione coordinativa, con il centro rientrante in cui s'incava sovente una loggia.
Sullo stesso stile classicista ideò anche il modello della villa suburbana, ma senza cortile interno, perchè preferì creare uno spazio antistante con l'avanzamento delle ali laterali. Questi luoghi di delizie ideati dall'Alessi e dai suoi abili interpreti locali si disposero in schiere monumentali lungo la costa o sul mosso paesaggio delle colline retrostanti. Gli interni, affacciati su giardini sorprendenti per la fantasia della decorazione vegetale e dei meccanismi idraulici, illustravano con stucchi e cicli affrescati i fasti di una società che cominciava a essere sensibile all'autocelebrazione, soprattutto nella fascia della nobiltà "nuova", desiderosa di far dimenticare le origini mercantili.
Tra gli interpreti di questa fioritura artistica spiccavano i pittori Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco e Luca Cambiaso, antesignani della grande stagione barocca dell'affresco genovese: quest'ultimo figura tra gli interlocutori di (*), giunta a Genova in uno stimolante clima di rinnovamento."
Nota
Per bellezza e ricchezza di contenuti, e per le emozioni che ha saputo suscitarmi il brano, lo trascrivo integralmente, dalla pagina 183 e seguenti dell'ormai famoso libro di Daniela Pizzagalli, La Signora della Pittura.
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"Trasferendosi dalla Sicilia in Liguria, il personaggio misterioso della nostra storia (*) non usciva sostanzialmente dal sistema politico instaurato in Italia dall'impero spagnolo. Con uno statuto del 1528 Genova si era costituita in repubblica oligarchica, controllata da Andrea Doria, principe occulto che, pur non assumendo ufficialmente il potere, aveva pilotato una clamorosa inversione di tendenza, abbandonando l'alleanza francese per fiancheggiare la Spagna e ottenendo in cambio da Carlo V il riconoscimento contrattuale dell'indipendenza della città.
La realistica opzione del Doria per il prevedibile vincitore dell'interminabile guerra europea rispondeva anche a considerazioni economiche: avendo l'avanzata ottomana creato difficoltà alle rotte commerciali d'Oriente, gli interessi genovesi dovevano orientarsi verso i nuovi mercati atlantici, aperti grazie a Colombo e ai suoi finanziatori, i sovrani spagnoli.
I patrimoni accumulati con i traffici intercontinentali furono impiegati soprattutto per sovvenzionare la macchina militare asburgica su cui Genova aveva puntato, arrivando a un regime quasi monopolistico dell'alta finanza, tanto che correva il detto: "L'oro e l'argento americani nascono oltre oceano, muoiono in Spagna e sono sepolti a Genova": Ed è chiamato "secolo dei genovesi" il periodo tra il 1528 e i primi decenni del Seicento.
La preminenza dei banchieri suscitava polemiche tra la popolazione, perchè si addossava loro la colpa dell'aumentato costo del denaro, con la conseguente crisi delle imprese artigianali, nonchè della decadenza dei traffici mercantili. In realtà, l'arricchimento della classe egemone non incrementava i commerci perchè era in atto quella trasformazione della società che distaccava l'aristocrazia dalle attività imprenditoriali, orientandola agli investimenti fondiari: poichè i titoli nobiliari erano legati al possesso della terra, si acquistavano feudi. Ma la rifeudalizzazione non era affatto remunerativa in Liguria, dove la terra era poco propizia all'agricoltura.
Le diverse concezioni di nobiltà, tra un patriziato ancora propenso alla mercatura e più aperto alla parità civile, e posizioni signorili fortemente gerarchizzate, si riflettevano anche sugli stili di vita: in città cominciarono a sorgere - immobilizzando immensi capitali - palazzi privati paragonabili a dimore di principi, una tendenza che impresse una svolta anche in campo artistico, con l'importazione di architetti in grado di disegnare il nuovo fastoso volto di Genova.
Anticamente l'abitato si era sviluppato ad anfiteatro attorno al porto e le prime dimore patrizie, in epoca medioevale, si allineavano lungo le strade confluenti al mare; ma la spinta rinnovatrice della metà del Cinquecento impose rettifiche al tracciato urbano, aprendo la Strada Nuova, (oggi Via Garibaldi) che avviò lo spostamento delle case dell'aristocrazia fuori dalle strettoie del tessuto medioevale. La domanda di più adeguati spazi residenziali, proveniente dalle maggiori famiglie, segnalava tangibilmente il progressivo allontanamento della classe dominante dalla vita del mare.
Strada Nuova, priva di ogni funzione viaria se non quella di dare accesso alle residenze aristocratiche, venne tracciata delimitando a nord il denso agglomerato cittadino, con andamento parallelo alla costa. Grimaldi, Pallavicini, Spinola e Doria furono i titolari dei primi palazzi di quel quartiere esclusivo, che costituiva una soluzione inedita nell'urbanistica italiana del tempo.
Nel clima concorrenziale instaurato dall'asta pubblica dei lotti, i nobili committenti e i loro architetti ingaggiarono un'ardua sfida su terreni contrapposti, il cui andamento in declivio imponeva la creazione di un linguaggio originale per scalare i dislivelli attraverso spazi continui, dalla strada alle logge e ai terrazzi pensili, in uno sfoggio creativo che inaugurava la stagione più esaltante dell'architettura genovese.
Determinante fu l'arrivo in città dell'architetto perugino Galeazzo Alessi, che vi lavorò dal 1548 al 1570, chiamato da Roma dove era stato aiuto del Sangallo. Massimo esponente del rinnovamento urbanistico, fu il creatore del palazzo cittadino genovese, derivato dalla maniera michelangiolesca, caratterizzato da facciate tripartite, dove le finestre assumono una funzione coordinativa, con il centro rientrante in cui s'incava sovente una loggia.
Sullo stesso stile classicista ideò anche il modello della villa suburbana, ma senza cortile interno, perchè preferì creare uno spazio antistante con l'avanzamento delle ali laterali. Questi luoghi di delizie ideati dall'Alessi e dai suoi abili interpreti locali si disposero in schiere monumentali lungo la costa o sul mosso paesaggio delle colline retrostanti. Gli interni, affacciati su giardini sorprendenti per la fantasia della decorazione vegetale e dei meccanismi idraulici, illustravano con stucchi e cicli affrescati i fasti di una società che cominciava a essere sensibile all'autocelebrazione, soprattutto nella fascia della nobiltà "nuova", desiderosa di far dimenticare le origini mercantili.
Tra gli interpreti di questa fioritura artistica spiccavano i pittori Giovanni Battista Castello detto il Bergamasco e Luca Cambiaso, antesignani della grande stagione barocca dell'affresco genovese: quest'ultimo figura tra gli interlocutori di (*), giunta a Genova in uno stimolante clima di rinnovamento."
Nota
Poichè sento d'aver commesso qualche errore nel linkare personaggi che forse non coincidono col testo della Pizzagalli, in particolare per quanto riguarda i Sangallo, visto che la dinastia comprende parecchie personalità, sarei grato a qualche blogger di comunicarmi gli eventuali svarioni.
Post correlato: Anche i ricchi servono
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Link:
Rolli di Genova (con elenco dei ricchi palazzi genovesi, Patrimonio dell'Umanità)
mercoledì, marzo 09, 2011
Viaggio in Sicilia (undicesima parte)
Palermo 1625: cause e origini di un'inarrestabile decadenza
Prosegue il racconto di quel favoloso viaggio in Sicilia di 30 anni fa, qui diventato virtuale perchè spinti all'indietro nel tempo, al secolo XVII. Dal racconto precedente Viaggio in Sicilia, decima parte, si erano compresi i motivi principali, lavoro e tasse, e aggiungiamoci anche il clima più salubre, per i quali molta gente di qua si era lasciata convincere dall'intraprendere quel viaggio dal Nord verso Palermo, nella stragrande maggioranza dei casi un viaggio senza ritorno. Il punto d'arrivo era stato Palermo, ma da lì molti lombardi si espansero poi per tutta la Sicilia. E a lasciare definitivamente la propria terra d'origine, in direzione di Palermo, non furono solamente lombardi dell'Alto Lario (vedere il post Emigranti del Lario verso Palermo), ma bensì anche abitanti di altre città, tra i quali primeggiarono, per numero di emigranti presenti in Palermo, che superava il 50% del totale immigrati, i genovesi. Andavano tutti in cerca di migliori condizioni di vita, della facilità con cui vi si trovava subito un lavoro decoroso. Palermo, come scritto nel post precedente, relativo alla serie del viaggio in Sicilia, in quei secoli XV, XVI e XVII era tutta infervorata nel cambiare il volto dell'antica città. Quell'alacrità e fervore, per l'abbellimento della città, ebbe dello strordinario se pensiamo che a Palermo, al pari di Milano, e quindi a nord e a sud dell'Italia, regnarono sovrani spagnoli per alcuni secoli, e che quindi la mente che sovrintendeva al fatto che in una località vi fossero migliori condizioni di vita rispetto a un'altra, dipendeva tutta dalla stessa mente pensante: era una mente unica a governare il tutto. E quindi, in mancanza di altri riscontri, si potrebbe supporre che Palermo in quel periodo godesse di privilegi o frachigie che in altre parti del Regno non esistettero.
Prosegue il racconto di quel favoloso viaggio in Sicilia di 30 anni fa, qui diventato virtuale perchè spinti all'indietro nel tempo, al secolo XVII. Dal racconto precedente Viaggio in Sicilia, decima parte, si erano compresi i motivi principali, lavoro e tasse, e aggiungiamoci anche il clima più salubre, per i quali molta gente di qua si era lasciata convincere dall'intraprendere quel viaggio dal Nord verso Palermo, nella stragrande maggioranza dei casi un viaggio senza ritorno. Il punto d'arrivo era stato Palermo, ma da lì molti lombardi si espansero poi per tutta la Sicilia. E a lasciare definitivamente la propria terra d'origine, in direzione di Palermo, non furono solamente lombardi dell'Alto Lario (vedere il post Emigranti del Lario verso Palermo), ma bensì anche abitanti di altre città, tra i quali primeggiarono, per numero di emigranti presenti in Palermo, che superava il 50% del totale immigrati, i genovesi. Andavano tutti in cerca di migliori condizioni di vita, della facilità con cui vi si trovava subito un lavoro decoroso. Palermo, come scritto nel post precedente, relativo alla serie del viaggio in Sicilia, in quei secoli XV, XVI e XVII era tutta infervorata nel cambiare il volto dell'antica città. Quell'alacrità e fervore, per l'abbellimento della città, ebbe dello strordinario se pensiamo che a Palermo, al pari di Milano, e quindi a nord e a sud dell'Italia, regnarono sovrani spagnoli per alcuni secoli, e che quindi la mente che sovrintendeva al fatto che in una località vi fossero migliori condizioni di vita rispetto a un'altra, dipendeva tutta dalla stessa mente pensante: era una mente unica a governare il tutto. E quindi, in mancanza di altri riscontri, si potrebbe supporre che Palermo in quel periodo godesse di privilegi o frachigie che in altre parti del Regno non esistettero.
Il misterioso personaggio storico di un nostro futuro racconto era tornato a Palermo dopo 35 anni da una precedente permanenza, e vi trovò una città ancor più bella e più rinnovata di prima. Ma sulla città incombeva già un fatale destino, che la portò verso quel declino inarrestabile di cui forse soffre tuttora.
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Nel 1615 a Palermo "su centoventimila abitanti c'erano almeno un migliaio di mercanti forestieri residenti, tra cui, più della metà, precisamente 592 erano genovesi. Anche l'arcivescovo, Giannettino Doria, era genovese, a conferma del rapporto privilegiato tra le due città.
Palermo si stava rivestendo di eleganza barocca, opulenta e ricercata.
Il trionfo della oligarchia neofeudale aveva solennizzato l'inizio del nuovo secolo con l'apertura di via Maqueda, ortogonale al Cassaro: l'operazione urbanistica era dettata da motivazioni sociali simili a quelle che avevano portato all'apertura della Strada Nuova a Genova, ma in questo caso il tessuto cittadino veniva spezzato con l'innesto di un secondo asse direzionale. Nel punto d'incrocio con il Cassaro si era formata la nuova piazza cerimoniale dell'Ottagono, poi detta dei Quattro Canti (foto).
La nuova quadripartizione urbana, attuazione letterale dello stemma municipale, raffigurante una croce che unisce e separa gli emblemi dei quattro quartieri, trovava la sua rappresentazione nel vasto apparato simbolico della piazza, ornata dalle statue delle sante protettrici dei quartieri (Oliva, Agata, Cristina, Ninfa), dei re di Spagna ( Carlo V, Filippo II, e dal 1621 Filippo IV), e delle quattro stagioni.
La simbologia dell'impianto a croce costituiva anche un riconoscimento del ruolo della Chiesa: a Palermo l'impulso architettonico del trionfalismo controriformistico ebbe una funzione trainante, assolvendo nel contempo un compito di coinvolgimento sociale. I grandi ordini religiosi promuovevano con fervore l'incisivo mutamento del quadro ambientale, monopolizzando la cultura (soprattutto grazie ai gesuiti, che controllavano l'istruzione superiore), gli investimenti immobiliari , l'organizzazione delle corporazioni artigiane.
La nobiltà, che si era rafforzata partecipando alla valorizzazione delle terre feudali, convergeva nella capitale per celebrare i fastosi riti del potere, attestandosi nelle grandi vie residenziali.
I coniugi Lomellini non potevano permettersi di vivere nei quartieri più eleganti, ma erano comunque in cerca di una sistemazione stabile; dopo i decenni trascorsi a Genova da una casa d'affitto all'altra, approfittarono dei prezzi più accessibili di Palermo per comprarsi un'abitazione dove trascorrere gli ultimi anni in tranquillità. Acquistarono dalla vedova Francesca Spinelli una "domus magna" - la registrazione è del 27 novembre 1615 - sita nell'antico quartiere arabo di Seralcadii, in "strada Pilerij", a ridosso delle mura cittadine. Da allora, negli atti notarili (*) e il marito saranno definiti "cives Panormi", cittadini di Palermo.
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Nel 1615 a Palermo "su centoventimila abitanti c'erano almeno un migliaio di mercanti forestieri residenti, tra cui, più della metà, precisamente 592 erano genovesi. Anche l'arcivescovo, Giannettino Doria, era genovese, a conferma del rapporto privilegiato tra le due città.
Palermo si stava rivestendo di eleganza barocca, opulenta e ricercata.
Il trionfo della oligarchia neofeudale aveva solennizzato l'inizio del nuovo secolo con l'apertura di via Maqueda, ortogonale al Cassaro: l'operazione urbanistica era dettata da motivazioni sociali simili a quelle che avevano portato all'apertura della Strada Nuova a Genova, ma in questo caso il tessuto cittadino veniva spezzato con l'innesto di un secondo asse direzionale. Nel punto d'incrocio con il Cassaro si era formata la nuova piazza cerimoniale dell'Ottagono, poi detta dei Quattro Canti (foto).
La nuova quadripartizione urbana, attuazione letterale dello stemma municipale, raffigurante una croce che unisce e separa gli emblemi dei quattro quartieri, trovava la sua rappresentazione nel vasto apparato simbolico della piazza, ornata dalle statue delle sante protettrici dei quartieri (Oliva, Agata, Cristina, Ninfa), dei re di Spagna ( Carlo V, Filippo II, e dal 1621 Filippo IV), e delle quattro stagioni.
La simbologia dell'impianto a croce costituiva anche un riconoscimento del ruolo della Chiesa: a Palermo l'impulso architettonico del trionfalismo controriformistico ebbe una funzione trainante, assolvendo nel contempo un compito di coinvolgimento sociale. I grandi ordini religiosi promuovevano con fervore l'incisivo mutamento del quadro ambientale, monopolizzando la cultura (soprattutto grazie ai gesuiti, che controllavano l'istruzione superiore), gli investimenti immobiliari , l'organizzazione delle corporazioni artigiane.
La nobiltà, che si era rafforzata partecipando alla valorizzazione delle terre feudali, convergeva nella capitale per celebrare i fastosi riti del potere, attestandosi nelle grandi vie residenziali.
I coniugi Lomellini non potevano permettersi di vivere nei quartieri più eleganti, ma erano comunque in cerca di una sistemazione stabile; dopo i decenni trascorsi a Genova da una casa d'affitto all'altra, approfittarono dei prezzi più accessibili di Palermo per comprarsi un'abitazione dove trascorrere gli ultimi anni in tranquillità. Acquistarono dalla vedova Francesca Spinelli una "domus magna" - la registrazione è del 27 novembre 1615 - sita nell'antico quartiere arabo di Seralcadii, in "strada Pilerij", a ridosso delle mura cittadine. Da allora, negli atti notarili (*) e il marito saranno definiti "cives Panormi", cittadini di Palermo.
(...)
L'arrivo a Palermo nel 1623, come nuovo vicerè, di Emanuele Filiberto di Savoia, riaccese probabilmente un clima di attenzione attorno alla pittrice, poichè il Savoia - nipote e omonimo del celebre "Testa di Ferro" eroe della battaglia di San Quintino - era un figlio cadetto dell'infanta Caterina Micaela. Se (*), per visitare l'illustre pupilla, si era effettivamente recata a Torino, aveva conosciuto il vicerè da bambino.
Fu Emanuele Filiberto a convocare a Palermo, nella primavera del 1624 il pittore fiammingo Anton Van Dyck, commissionandogli un ritratto e una grande pala della Madonna del Rosario. Van Dyck era ormai un artista molto affermato: a ventidue anni, nel 1621 aveva lasciato Anversa per compiere un viaggio di studio in Italia, fermandosi a Genova sulle orme del suo maestro Rubens, e diventando un disputato ritrattista. Sicuramente aveva sentito parlare dell' (*) - ammirata anche da Rubens - e aveva potuto vederne alcune opere nelle quadrerie dei suoi committenti genovesi. Dopo aver proseguito il suo giro con tappe a Roma e Venezia per arricchirsi a contatto con i capolavori dell'arte rinascimentale, aveva risposto all'invito del vicerè arrivando a Palermo per mettersi al lavoro sul ritratto (foto, da Wikipedia)
La sua prima richiesta fu di poter incontrare (**).
La venuta di Van Dyck coincideva con lo scatenarsi di una devastante pestilenza: i primi casi furono registrati in maggio ma non si presero seri provvedimenti fino a giugno. Le autorità, dimentiche della rovinosa epidemia del 1575, tergiversavano, mentre la malattia, presa alla leggera, dilagava vertiginosamente.
La stessa visita di Van Dyck a (*), avvenuta il 12 luglio, quando a Palermo si contavano già milletrecento morti di peste, dimostra che non erano sospesi i ritmi della vita quotidiana in città. Anzi il pittore, nell'accurata descrizione che fa dell'incontro in una pagina del suo Quaderno italiano, non accenna neppure alla tragedia che stava decimando l'intera popolazione.
...
...Il rapporto fra Van Dyck e l'(*) non si esaurì in un unico incontro, perchè la pittrice prese il giovane sotto la sua protezione: "Fu da quella molto cortesemente aiutato nei suoi bisogni e sollevato in alcuni travagli che gli sopraggiunsero e gli diedero motivo di fermarsi molto poco in quell'isola".
In realtà fu la recrudescenza della peste ad allontanare il fiammingo dalla Sicilia: in agosto morì lo stesso vicerè, suo committente. (*) invece, nonostante il fisico debilitato dall'età, schivò la malattia, dalla quale era rimasta indenne anche nel 1575. In quell'epidemia morirono circa trentamila persone, un quarto dell'intera popolazione: per Palermo fu l'inizio di un'inarrestabile decadenza".
L'arrivo a Palermo nel 1623, come nuovo vicerè, di Emanuele Filiberto di Savoia, riaccese probabilmente un clima di attenzione attorno alla pittrice, poichè il Savoia - nipote e omonimo del celebre "Testa di Ferro" eroe della battaglia di San Quintino - era un figlio cadetto dell'infanta Caterina Micaela. Se (*), per visitare l'illustre pupilla, si era effettivamente recata a Torino, aveva conosciuto il vicerè da bambino.
Fu Emanuele Filiberto a convocare a Palermo, nella primavera del 1624 il pittore fiammingo Anton Van Dyck, commissionandogli un ritratto e una grande pala della Madonna del Rosario. Van Dyck era ormai un artista molto affermato: a ventidue anni, nel 1621 aveva lasciato Anversa per compiere un viaggio di studio in Italia, fermandosi a Genova sulle orme del suo maestro Rubens, e diventando un disputato ritrattista. Sicuramente aveva sentito parlare dell' (*) - ammirata anche da Rubens - e aveva potuto vederne alcune opere nelle quadrerie dei suoi committenti genovesi. Dopo aver proseguito il suo giro con tappe a Roma e Venezia per arricchirsi a contatto con i capolavori dell'arte rinascimentale, aveva risposto all'invito del vicerè arrivando a Palermo per mettersi al lavoro sul ritratto (foto, da Wikipedia)

La venuta di Van Dyck coincideva con lo scatenarsi di una devastante pestilenza: i primi casi furono registrati in maggio ma non si presero seri provvedimenti fino a giugno. Le autorità, dimentiche della rovinosa epidemia del 1575, tergiversavano, mentre la malattia, presa alla leggera, dilagava vertiginosamente.
La stessa visita di Van Dyck a (*), avvenuta il 12 luglio, quando a Palermo si contavano già milletrecento morti di peste, dimostra che non erano sospesi i ritmi della vita quotidiana in città. Anzi il pittore, nell'accurata descrizione che fa dell'incontro in una pagina del suo Quaderno italiano, non accenna neppure alla tragedia che stava decimando l'intera popolazione.
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...Il rapporto fra Van Dyck e l'(*) non si esaurì in un unico incontro, perchè la pittrice prese il giovane sotto la sua protezione: "Fu da quella molto cortesemente aiutato nei suoi bisogni e sollevato in alcuni travagli che gli sopraggiunsero e gli diedero motivo di fermarsi molto poco in quell'isola".
In realtà fu la recrudescenza della peste ad allontanare il fiammingo dalla Sicilia: in agosto morì lo stesso vicerè, suo committente. (*) invece, nonostante il fisico debilitato dall'età, schivò la malattia, dalla quale era rimasta indenne anche nel 1575. In quell'epidemia morirono circa trentamila persone, un quarto dell'intera popolazione: per Palermo fu l'inizio di un'inarrestabile decadenza".
Nota: con l'asterisco (*) si è voluto indicare il nome di un personaggio "misterioso", il cui nome verrà rivelato in un prossimo post; in corsivo, la trascrizione delle pagine dalla 225 e seguenti del libro di Daniela Pizzagalli, La signora della pittura - Rizzoli Editore.
sabato, marzo 05, 2011
In memoria di Marcello
Nel contempo contiene anche un gioco di memoria.
Il video qui sotto è stato creato il 17 febbraio 2011 da marigliano1969; sei giorni dopo, il 23 febbraio, il compianto Sarcastycon alias Marcello ci ha resi orfani della sua presenza. Il video è quasi un omaggio postumo, perchè contiene parecchie sue vignette. Frammiste a tante altre, di altri blogger, potrete individuare quali siano le sue, facendo la comparazione col suo blog. Per me, che le conosco quasi tutte a memoria, è stata un'operazione abbastanza facile ed immediata, ma per chi non conosceva il suo blog satirico, e volesse anche cimentarsi in una sorta di esercizio mnemonico, consiglio di guardare il video e poi cercare la corrispondente vignetta in questo suo blog: Sarcastycon.