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lunedì, febbraio 14, 2011

Viaggio in Sicilia (decima parte)


Palermo, piazza Pretoria, da Wikipedia
La visita che feci a Palermo dal 30 dicembre 1980, fino al giorno di Capodanno del 1981 sarebbe stata ben più coinvolgente se a quel tempo avessi già avuto più precise cognizioni di quanto era avvenuto in quella città nei secoli XV, XVI, XVII: una grande rivoluzione urbanistica e di abbellimento cittadino che aveva richiamato maestranze qualificate, soprattutto architetti, scultori e pittori, ma anche muratori, carpentieri e manodopera comune dai paesi dell'Alto Lario; gente in cerca di lavoro, alquanto carente a quell'epoca nella loro terra. E fu così che in quel periodo avvenne quella famosa immigrazione all'incontrario dal Lario verso Palermo, durante il quale molti abitanti dell'Alto Lario si trasferirono, soprattutto a Palermo, lasciando di fatto vuoti e disabitati i loro borghi di montagna. Credo pertanto non azzardato affermare che in quel periodo i paesi di montagna dei circondari di Dongo, Gravedona e Gera divennero di fatto dei paesi fantasma. In virtù di quel lungo periodo migratorio possiamo anche ben dire che molti dei siciliani attuali hanno sicuramente antiche origini lombarde, perchè da Palermo detti immigrati sicuramente si espansero poi per tutta la regione, contribuendo anch'essi al forte incremento demografico sviluppatosi nell'Isola in quell'epoca. Quell'evento migratorio prolungato, e fatto su larga scala, in questo caso renderebbe plausibile la creazione di un gemellaggio tra le due regioni, Sicilia e Lombardia, o quantomeno tra le due province di Palermo e Como; istituzione che, in questo caso, sarebbe supportata da quegli antichi forti legami di sangue.

C'è un libro, La Signora della Pittura, Sofonisba Anguissola, scritto magistralmente da Daniela Pizzagalli, la quale ogni anno pubblica la biografia di una grande donna di quelle epoche, ma cadute poi lentamente nel quasi dimenticatoio, che descrive assai bene la Palermo del periodo di cui stiamo narrando. Le sue descrizioni sono magniloquenti, così come lo è stato nel caso della storia di Correggio agli inizi del '500. La descrizione che fa di Palermo di quell'epoca è anch'essa talmente accurata, che non mi resta che trascriverla integralmente, confidando nel fatto che l'autrice mi abbia tacitamente ad accordare il permesso di pubblicare il suo seguente brano.

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""Chissà se anche Sofonisba Anguissola, sbarcando a Palermo, sentì nell'aria quella fragranza di violette che il Falzello, nel suo De Rebus Siculis pubblicato nel 1558, assicurava deliziasse tutti i visitatori: un effetto del sale marino scaldato ai raggi del sole cocente.
Dal congestionato traffico del porto, sulle cui banchine si riversavano preziose merci da tutto il mondo, comprese di non essere arrivata in una languida periferia dell'impero, ma nel cuore del Mediterraneo, in un attivo centro di smistamento e di scambi animato da una società colta e raffinata.
Don Fabrizio de Moncada era probabilmente ad attenderla sul molo e Sofonisba , superato l'imbarazzo del primo incontro grazie al suo carattere estroverso e all'esperienza in ogni codice di comportamento, si lasciò guidare, emozionata e curiosa, alla scoperta della sua nuova patria.
La bella città murata si ergeva su mille stratificazioni: a causa della sua posizione strategica sicani, elimi, greci, fenici avevano successivamente popolato quella collina perpendicolare alla linea di costa, situata nella parte più interna di un ampio golfo protetto dai venti, dove gli approdi erano facilitati dalla presenza di due corsi d'acqua, uno a nord, il Papireto, alimentato da numerose sorgenti, l'altro a sud, il Kemonia, a carattere torrentizio.
La prima grande cinta di mura, sulla sommità della collina, era stata cartaginese e risaliva al sesto secolo a.C. La città fu poi conquistata dai romani, dai bizantini e dagli arabi, che ne fecero nel decimo secolo una capitale.
In questo ruolo Palermo aveva vissuto uno sviluppo urbanistico intenso e complesso; all'antico nucleo sulla sommità dell'altura, chiamato dagli arabi al-Kasr, poi il Cassaro, si aggiunsero altri quartieri, costruiti sulle rive dei due corsi d'acqua. L'emiro si era insediato presso il porto, nella cittadella a quattro porte della Kalsa, ma il Cassaro restava il fulcro della città, con la "via marmorea" fiancheggiata dai palazzi delle famiglie più importanti e da moschee, tra cui la stessa cattedrale, trasformata in luogo di culto islamico.
Con la conquista normanna dell'undicesimo secolo il Cassaro era tornato a essere il centro pulsante della città, con il palazzo reale degli Altavilla e le abitazioni della nuova classe dirigente feudale, mentre l'area del porto veniva ripartita tra le varie comunità dei mercanti marittimi, le "nazioni" degli amalfitani, dei pisani, dei genovesi e anche di gruppi stranieri.
Il riassetto del circuito difensivo, tra il dodicesimo e il quattordicesimo secolo, aveva inglobato stabilmente anche le zone abitate oltre il Papireto e il Kemonia. Con la conquista francese dell'Italia meridionale da parte degli angioini, Palermo aveva perso il ruolo di capitale a favore di Napoli, recuperandolo dopo la guerra dei Vespri con l'occupazione aragonese. Sotto la dinastia aragonese furono introdotti in Sicilia criteri di razionalizzazione amministrativa e di trasformazione edilizia.
Il re di Spagna Ferdinando d'Aragona nel 1482 accordò al pretore di Palermo il permesso di demolire strade e piazze "per ornamento e decorazione" della città, che all'inizio del Cinquecento fruì anche del rifacimento della cinta muraria secondo la nuova tecnica di baluardi e fossati.
In una città che viveva da vicino tutte le vicende militari mediterranee, negli anni di massima tensione tra l'impero spagnolo e quello turco, era necessaria una radicale opera di ristrutturazione urbanistica. L'impegno per il rinnovo della cinta fortificata predominava negli intenti dei vari vicerè che si succedevano, a partire da Ferrante Gonzaga che poi, trasferito a Milano, avrebbe portato avanti lo stesso progetto.
La potente cinta bastionata, i cui lavori si sarebbero protratti fino a metà Seicento, avrebbe inglobato la Cittadella realizzata sull'antico Castello a Mare (
http://www.youtube.com/watch?v=A3jtGfyyavU), sconvolgendo l'assetto urbanistico. La funzione di piazzaforte comportava un adeguamento degli spazi pubblici e una diversa dislocazione delle sedi politiche e militari.
Il vicerè Giovanni de Vega a metà del Cinquecento installò la sua sede nell'antico palazzo reale normanno, attorno al quale fu creata una spianata, fiancheggiata dal nuovo quartiere militare spagnolo.
Sempre motivazioni di carattere militare spinsero nel 1565 il muovo vicerè Garcia de Toledo a gettare le fondamenta di un grandioso porto verso nordovest, separato dalla città, e nel '67 ad ampliare e rettificare la via del Cassaro, per prolungarla poi in linea retta fino alla Marina, con un corposo sventramento nel tessuto medioevale.
Si era così compiuta una vistosa operazione urbanistica che, in stretta connessione con i lavori di fortificazione, rinnovava profondamente lo spazio centrale della città, creando un asse longitudinale di comunicazione che in onore del vicerè si chiamò via Toledo (
ora Corso Vittorio Emanuele), con funzione anche cerimoniale di alta rappresentanza, lungo il quale si disposero le piazze con le principali istituzioni cittadine e i più prestigiosi edifici nobiliari e religiosi.
Nel 1567 veniva aperta la piazza che prese il nome dalla famiglia Bologni, tra la cattedrale e la piazza del Pretorio, dove a sua volta il governo municipale rinnovò la propria sede, spianando la piazza per rivolgere su via Toledo il fronte del Palazzo senatorio.

La strada rettilinea, nata con chiari requisiti strategici, restò dominante anche quando sotto il vicerè successivo, Marcantonio Colonna, insediatosi nel '77, divennero meno impellenti le esigenze militari: dopo la vittoria di Lepanto, alla quale lo stesso Colonna aveva validamente contribuito, la minaccia turca sembrava allentata.
L'intera Sicilia viveva un periodo di prosperità. Se all'inizio del Cinquecento contava poco più di mezzo milione di abitanti, a metà del secolo era arrivata a ottocentomila: solo a Palermo, la popolazione era passata da venticinquemila a centomila anime.

L'assetto sociale cittadino presentava l'incontrastato dominio dell'élite nobiliare che, facendo parte del Parlamento, era costretta a risiedere nella capitale, rinsaldando così i legami tra Palermo e i feudi rurali disseminati in tutta l'isola. La classe baronale viveva con magnificenza, accumulando forti redditi dalle proprietà terriere, la cui produzione agricola era molto richiesta sui mercati internazionali.
La voce principale dell'esportazione era il grano, ma erano in forte espansione anche la coltura della vite, quella del gelso, con un importante commercio di seta greggia, e quasi altrettanto sviluppata quella dello zucchero di canna. I "trapetti" siciliani, cioè le manifatture in cui si bolliva il succo delle cannamele per trasformarlo in zucchero, erano i più antichi d'Europa, impiantati al tempo della dominazione araba, ma stava avanzando la concorrenza estera, soprattutto degli olandesi che, giovandosi del lavoro degli schiavi nelle colonie, producevano zucchero a prezzi imbattibili.
La nobiltà terriera aveva reso fastoso lo stile di vita cittadino, moltiplicando feste e celebrazioni, delle quali la trionfante Chiesa postridentina tendeva, come nel resto dell'Italia, ad assumere l'iniziativa e la guida, coinvolgendo tutta la popolazione. La competitività con cui le corporazioni artigiane e le diverse nazioni dei mercanti costruivano chiese e cappelle dimostra l'influenza delle istituzioni ecclesiastiche nella vita della città.""

28/5/2012  Il nome della Signora della Pittura, Sofonisba Anguissola, è stato inserito dopo la pubblicazione del post Sofonisba Anguissola e il suo tempo .

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