marshall

venerdì, gennaio 25, 2008

Omaggio a Ferrara e Milano

In attesa di completare la rilettura dei Promessi Sposi, alla ricerca di episodi che si svolgano lungo i Navigli di Milano, scritti con la meticolosità e la ricchezza di particolari che è propria del Manzoni, e nella quale egli rivela tutta la sua maestria; alla ricerca di descrizioni sulla fantastica bellezza che i Navigli conferivano alla città; in quell'attesa, dicevo, pubblico il post che avevo scritto per amici ferraresi di ferrara.splinder.com, circa un anno fa. Un post che era nato quasi come una dimostrazione del fatto che si possa amare indicibilmente una città o un sito, pur non essendoci mai stato di persona; un fatto che, per gli amici di Ferrara, aveva dell'incredibile. In tal modo, nacque il post qui sotto, già pubblicato sul loro blog. Ad un attento osservatore non può mancare di scorgervi anche un ipotetico gemellaggio tra le città di Ferrara e Milano.


Omaggio a Ferrara

Tutta colpa di Lazzaro Scacerni, il mio innamoramento, quasi viscerale, per Ferrara; ora attenuato, fortunatamente per me. Fortunatamente perché così non mi viene più in mente di pensare in continuazione al Po, alle sue curve, alle sue anse, alle sue secche e alle sue piene, ai suoi mulini fluviali che ora non ci sono più. E Ferrara con il suo bel Castello Estense, i suoi bastioni, le Mura e i terrapieni alberati, il Montagnone, le sue bellezze artistiche, i suoi musei, i suoi tesori d’arte. Il Teatro Comunale dotato di un’acustica perfetta che abbiamo potuto verificare, ascoltando, in una memorabile esecuzione trasmessa anni fa da Rai1, il Don Giovanni di Mozart; perfezione acustica che lo fa primeggiare, per questa caratteristica, in tutta Europa. E poi, i comuni della provincia di Ferrara, molti dei quali sono stati descritti mirabilmente, anche se, forse, con l’aggiunta di particolari fantasiosi, dalla versatile penna di Riccardo Bacchelli. Da molto tempo avevo in mente di leggere Il Mulino del Po, fin dai tempi della versione televisiva di Sandro Bolchi, che all’epoca ebbe un successo strepitoso, ma della quale sono riuscito a vedere solo qualche puntata, anche quando è stata ritrasmessa in versione integrale negli anni ottanta. La voluminosità dell’opera, con le sue oltre 2000 pagine di romanzo, mi hanno però sempre dissuaso dall’iniziarne la lettura: dovevo prima dedicare quel tempo ad altre opere fondamentali e di più breve durata. Ci voleva l’occasione e l’input, affinché mi dedicassi alla lettura del Mulino del Po. L’occasione mi fu propiziata, e l’input venne quasi casualmente. Era l’autunno del 2004, ormai avevo letto le dodici opere fondamentali che mi erano state regalate ad iniziare dall’autunno 2000, anno per me fatidico. Un giorno di quel 2004 stavo sfogliando distrattamente una recente antologia scolastica, quando, quasi volutamente, il mio occhio cadde su una pagina contenente un episodio del Mulino del Po. Devo sottolineare che gli autori di quell’antologia sono stati perspicaci, furbi e intelligenti: notai che di ogni opera recensita, pubblicavano le pagine che più di tutte potessero accendere la fantasia e la curiosità del lettore, tanto da spingerlo a completare la lettura, stimolandolo a procurarsi l’opera. Per il Mulino del Po, scelsero l’episodio in cui si narra di Lazzaro Scacerni che, di ritorno dalla Campagna di Russia, con in tasca la mappa del tesoro che gli aveva lasciato il capitano Mazzacorati, per poter leggere la mappa doveva giocoforza imparare a leggere, perchè non si sarebbe fidato di affidarne la lettura ad altri. E così si reca nella bottega di un merciaio di Codigoro per acquistare un lunario. Invece, ne esce con un sillabario e dopo aver appreso dal bottegaio i rudimenti fondamentali per intraprendere un corso privato (ma fu necessario un maestro) di lettura. Ciò che avviene in quella mezz’ora, o forse più, di permanenza in quella bottega, tra lui, il bottegaio ed altri avventori è degno di una rappresentazione teatrale (l’ho già consigliata al giovane gruppo teatrale del mio paese). A questo punto, sarebbe quasi superfluo dire che quel giorno stesso mi procurai l’opera completa che terminai di leggere dopo sei mesi. Non fu una lettura scorrevole come un normale romanzo. E’ pieno di riferimenti storici, di citazioni di personaggi storici: statisti, scrittori, artisti, pittori, ecc. Per cui dovetti leggere con al fianco cartine geografiche, piante delle provincia di Ferrara, Rovigo e Bologna; testi di storia (non avevo ancora internet); libri d’arte. Il Mulino del Po è un compendio di tutto quanto ho citato. Per quest’opera, anche se, soprattutto nella terza parte, l’autore si perde un po’ nell’allungare troppo la trama del racconto vero e proprio, con particolari, richiami e ripetizioni che a volte risultano perfino inutili per la comprensione del filo logico del romanzo, pur tuttavia Riccardo Bacchelli, con quest’opera monumentale si sarebbe meritato il premio nobel. Il merito di quest’opera è superiore a quello che gli Accademici di Stoccolma hanno conferito all’opera di Dario Fo, Mistero buffo. A detta di letterati e critici, Bacchelli, già candidato al nobel da vari anni, ha cessato di esserlo dopo aver pubblicato, nel 1953, Il figlio di Stalin, romanzo storico risultato particolarmente sgradito al regime comunista sovietico di quegli anni. Il romanzo racconta infatti il dramma del figlio del dittatore, Jacob Giugasvili che, cercando di sfuggire alla schiacciante figura paterna, viene catturato dai tedeschi e muore in un lager. A chi dovesse leggere il Mulino del Po, non verrebbe mai in mente di pensare che il colpo di fulmine, l’input iniziale a scrivere quest’opera fu propiziata da una visione milanese, e che poi tutto il romanzo fosse stato scritto a Milano. Riccardo Bacchelli lavorava al Corriere e, per un certo periodo ha abitato in un appartamentino ricavato in un abbaino di via San Marco. Bacchelli era giunto a Milano nel ’25, e a quel tempo vi scorrevano ancora tutti i navigli a cielo aperto di cui la città era ricca . Un ramo scorreva in via San Marco, al termine della quale, sotto un ponte dove adesso passa la circonvallazione interna di Milano, c’era una sorta di lago, un vascone – il Tombone di San Marco – dove il naviglio faceva un salto; questo salto alimentava un mulino ad acqua, visibile ancora negli anni ’70, perché rimasto come ricordo storico della Vecchia Milano, e forse anche per legarlo al Mulino del Po (vedi nota). Io ho fatto in tempo a vederlo e, francamente, non so se esista ancora. Riccardo Bacchelli, dalla finestra del suo abbaino vedeva ruotare le pale del mulino di via San Marco, finchè gli venne l’ispirazione per il suo romanzo che scrisse di getto, in tre anni, a partire dal 1938, in quella stanza. Se avesse avuto il tempo e la tranquillità necessaria per una grande opera di “abbellimento”, di rimaneggiamento, di revisione, di correzione Il Mulino del Po sarebbe diventato il “Capolavoro della letteratura italiana” alla pari, e forse più, dei Promessi Sposi; tanti e tali sono gli avvenimenti storici, i fatti, la cronaca, le leggende descritte nel romanzo. Ma poiché scriveva “per vivere”, e oltretutto i suoi romanzi li scriveva nel dopolavoro di cronista-giornalista del Corriere della Sera, Il Mulino del Po è venuto per come lo conosciamo, salvo correzioni, ritocchi, rimaneggiamenti, piccole modifiche avvenute prima dell’edizione definitiva del 1957. La ragione affettiva e vera che dunque mi lega fortemente a Ferrara è stata scaturita da questa vicinanza, o gemellaggio che ho creato dentro la mia fantasia, tra la città di Ferrara e la città di Milano nella quale vivo, e dove ho bazzicato, per alcuni anni, proprio quella via San Marco dove Bacchelli ha partorito e scritto il suo capolavoro. Ad ogni modo, il mio amore per Ferrara e la sua Terra, non è certo dovuto solo a Riccardo Bacchelli, ma a tante altre belle cose che ho scoperto prima, nel frattempo e dopo. E qui vago nel mondo della fantasia. Trovo strano, per esempio, che nessuno abbia avuto in mente, finora, un film colossal, una fiction sulla vita di Ludovico Ariosto. Pensate a come sarebbe avvincente la sua storia, almeno per me (proporrò l’idea a Mediaset, assumendomene la paternità). E’ vagamente noto, o storicamente noto, che Ludovico Ariosto avesse una sua tipografia lì a Ferrara o che, quantomeno, ne fosse socio, o, perlomeno, socio finanziatore. Quella di Ferrara è stata una delle prime tipografie ad essere impiantate in Italia, dopo l’invenzione del Gutenberg. E’ quindi logico pensare che tale attività richiedesse notevoli capitali: l’Ariosto si è sicuramente buttato nell’impresa, essendo stato molto perspicace anche in questo. Ariosto era un frequentatore assiduo della sua tipografia. Lui vivente, uscirono trentadue edizioni dell’Orlando furioso; ognuna con modifiche rispetto la precedente. La sua notorietà si diffuse rapidamente in tutta Europa, già dalla prima edizione. Ancora oggi, dopo quasi cinquecento anni, le gesta di Orlando e di Rinaldo vengono rappresentate nei teatri di marionette, particolarmente a Siracusa dove ci sono teatri di marionette a loro dedicati e dove c’è ancora, forse, e forse unica sopravvissuta, una scuola dove insegnano a costruire (veri piccoli capolavori dell’artigianato), e successivamente a muovere, con la coordinazione della voce, i personaggi dell’Orlando furioso. La sua fama, in Ferrara e nel circondario di Ferrara, era diventata tale che si racconta – realtà frammista a leggenda – che, quando il Poeta si recava in tipografia (per la verità quasi tutti i giorni), si formavano crocchi di persone sulla strada, davanti alla stamperia, in attesa della sua uscita, per chiedergli anticipazioni sulle nuove gesta, cambiamenti su scene già scritte, inserimento di nuovi personaggi nell’opera, suggerimenti di vario genere, ecc. Un po’ quello che succede oggi per gli amanti di fiction o telenovele, dove i suggerimenti e i consigli del pubblico sono ben accetti. I suggerimenti e le critiche gli venivano anche da fuori, da lontano. Guardate, per esempio, quali modifiche si sentì in dovere di apportare in un episodio riguardante Veronica Gàmbara, la “Signora della Poesia”, Contessa di Correggio. Nella prima edizione del 1516 e nella revisione del 1521 scrive di lei, nominandola tra le altre donne illustri di Correggio che alla fine del poema accolgono il ritorno della nave del poeta: “Quella che scende con Ginevra al mare Veronica da Gambara mi pare”. Tralasciando i motivi della modifica (che nella ipotetica fiction televisiva occuperebbero una puntata), nella redazione definitiva e ampliata del poema, del 1532, ecco come quei versi sono stati modificati: “Mamma e Ginevra e l’altre da Correggio Veggo del molo in su l'estremo corno; Veronica da Gambara è con loro Sì grata a Febo e al santo aonio coro." Dopo Ariosto venne Torquato Tasso. E allora mi chiedo se Ferrara e i ferraresi mantengano e coltivino qualcosa della loro memoria storica di quegli anni. Perché il cinquecento è stato per Ferrara “assai generoso”, un “grande secolo”. Cos’altro amo e ammiro di Ferrara? Le storie di Giorgio Bassani che riesci a comprendere meglio, e a renderti utile per conoscere la città, se le leggi con la carta topografica di Ferrara sotto mano. La Millemiglia, che con la sua sosta sulla piazza principale di Ferrara ti consente una visione spettacolare, per me mozzafiato, della città. Una delle più ricche e belle biblioteche storiche del mondo, ricca di reperti unici. Il museo Lamborghini che vedendolo mi fa tornare agli anni della mia fanciullezza e giovinezza. Le Bonifiche Ferraresi (e come non esserne stati soci!) che con le sue opere ciclopiche ha “rubato” terre al mare, rendendole feconde e che danno una resa di produzione tra le più alte al mondo. Io direi che con quello che ho scritto all’inizio, tutto ciò basti ed avanzi per chiunque voglia tentare un approccio a Ferrara, e cominciare ad amarla così come la amo io. Nota le descrizioni di luoghi e fatti di questo post, sono frutto esclusivo della mia memoria; posso pertanto essere incorso in qualche errore ed omissione del tutto involontarie; come, per esempio, quel monumento al Mulino, o qualcosa di simile, che avevo visto, nei primi anni '70, in prossimità del cavalcavia che separa via San Marco da via Melchiorre Gioia, che pare non esista più, ma che io ricordo come se fosse stato (o vi è tuttora) il monumento di un mulino: appunto, del Po.

4 Comments:

  • De "Il mulino del Po" che non ho letto, ricordo lo splendido sceneggiato televisivo con Raf Vallone. Indimenticabile.

    By Blogger Nessie, at 26 gennaio 2008 alle ore 13:55  

  • Nessie,
    te ne consiglio la lettura, almeno della prima parte, in quanto è molto più avvincente che non lo sceneggiato. Sceneggiato che è stato un capolavoro anche per me, ma che non aveva soddisfatto completamente Bacchelli, presente molto spesso alle riprese, vicino al regista. Nel primo volume (dal sottotitolo: Dio ti salvi) vi troverai similitudini alle maniere di vivere, sopravvivere, coesistere attuali; vi troverai, per esempio, storie dei contrabbandieri del Po; il trucco escogitato dai molinari per evadere la tassa sul macinato...e tante altre pagine di alta e appassionante poesia; vi troverai i versi di canti popolari andati probabilmente perduti; di leggende, ricordate e salvate da Bacchelli, ne troverai a iose.
    Avrai sicuramente letto e studiato i Promessi Sposi, onde per cui il raffronto tra queste due opere ti verrebbe spontaneo.
    Ciao.

    By Blogger marshall, at 26 gennaio 2008 alle ore 16:19  

  • Più leggo i tuoi post,più mi sento ignorante.Amo questo blog,che si differenzia sempre dalla solita solfa.Bravo amicus
    Nemo


    http://opinioniefintedemocrazie.blogspot.com/2008/01/governo-di-salute-pubblicaokcorral.html

    By Anonymous Anonimo, at 28 gennaio 2008 alle ore 12:56  

  • Grazie Marsh, ne terrò senz'altro conto. Volevo segnalarti, visto che sei così sensibile alla cultura, la creazione di un nuovo blog culturale. Passa a trovarmi al Giardino delle Esperidi.
    http://esperidi.blogspot.com/
    Se vuoi contribuire, sarai gradito. Anche con tuoi post.

    By Blogger Nessie, at 29 gennaio 2008 alle ore 22:19  

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