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lunedì, agosto 08, 2011

Cultura finanziaria 3

Il debito delle future generazioni
Lo scritto è uno studio pubblicato da MORNINGSTAR il 28 luglio scorso, ed è stato messo a disposizione dei clienti di Fineco . Fa parte del gruppo dei dieci articoli più letti dai loro clienti negli ultimi trenta giorni.

Debito in eredità
Il fardello pubblico si mangia il Pil. I giovani, disincantati dalla finanza, pensano nel breve. E cercano sicurezza.
Autrice: Sara Silano (*) 28/7/2011
Gli Stati Uniti hanno un debito pubblico che è quasi equivalente al valore dei beni e servizi che producono ed ammonta a 14,46 mila miliardi di dollari. L’Italia ha un rapporto tra squilibrio del bilancio statale e Pil ancora più elevato (119%) e il Giappone più che doppio (dati del Fondo monetario internazionale). Un pesante fardello per le generazioni presenti, destinato a diventare ancora più oneroso per quelle che verranno. Come non dare ragione, dunque, ai critici del decennio appena trascorso, che accusano chi l’ha vissuto di avere lasciato in eredità un futuro di tasse e austerità per molti anni a venire?
Nel 1999, mentre si gonfiava la bolla tecnologica, è uscito un libro dal titolo evocativo per l’epoca: “Morire in bolletta e vivere felici”, a cura di due consulenti finanziari, Stephen M. Pollan e Mark LeVine. In una fase di grande euforia per i consumi e gli investimenti azionari, la ricetta proposta per “vivere da ricchi” era quella di programmare la propria esistenza con l’unico obiettivo di “morire in bolletta”. Oggi, paghiamo le conseguenze di questo modello di vita, che per molto tempo, è stato fatto proprio non solo dai consumatori americani, ma anche, con grande leggerezza, dagli stati.
La fine di un’epoca
Ai giovani di oggi, una proposta simile appare quasi irritante. Come emerge dall’ultima Indagine sul risparmio e le scelte finanziarie degli italiani, svolta dal Centro di ricerca e documenzione Luigi Einaudi di Torino e da Intesa Sanpaolo (in collaborazione con la Doxa), l’epoca dell’entusiasmo per la modernizzazione finanziaria è definitivamente tramontata. Il rapporto, che quest’anno ha fatto uno speciale focus sulle nuove generazioni, mette in luce come meno di un giovane su due si dichiari indipendente finanziariamente (il campione è di 403 persone tra i 18 e 29 anni) e tra questi chi risparmia lo fa prevalentemente per “motivi precauzionali”, un futuro matrimonio o l’acquisto della casa. La maggior parte lascia i soldi sul conto corrente e chi investe ricerca strumenti sicuri.
Il succedersi delle crisi ha spazzato via l’idea che la finanza abbia poteri miracolosi e sia la chiave di volta per “vivere da ricchi”. Al contrario, è forte la convizione che non possa risolvere i problemi dell’insufficienza del reddito e che non ci sia investimento privo di rischio. Le richieste che emergono con più frequenza, dunque, sono: una maggior tutela dei propri investimenti e più informazione e consulenza per commettere meno errori possibili. Se dieci anni fa, uno studente universitario si divertiva a fare trading su qualche titolo Internet, sognando di diventare un piccolo Gordon Gekko, lo spregiudicato protagonista di Wall Street, impersonato da Michael Douglas nel film di Oliver Stone; oggi si domanda cosa succederà ai suoi risparmi se l’Italia o gli Stati Uniti falliscono e come può proteggerli.
Rischio breve termine
Questo atteggiamento evita gli eccessi, ma ha un rovescio della medaglia: induce a pensare nel breve termine piuttosto che fare una pianificazione finanziaria di ampio respiro. La prova viene dalla scarsa attenzione per il tema previdenziale. Dall’indagine emerge che più di un giovane su due non sa formulare alcuna ipotesi su quale sarà la sua pensione “pubblica” e sono pochi quelli che pensano a un’integrazione. Questa logica “dell’oggi” e del parcheggio della liquidità sui conti remunerati rischia di togliere un altro pezzo di futuro alle nuove generazioni. Il tasso di sostituzione, che esprime il rapporto tra la prima rata annua di pensione percepita e l’ultima retribuzione annua, è in calo. A complicare la situazione, c’è un tasso di inflazione che è in crescita e minaccia il valore dei risparmi, soprattutto quelli lasciati liquidi, perché la remunerazione è spesso troppo bassa per compensare la perdita di potere d’acquisto. C’è anche un mercato dei titoli di stato che non dà più le sicurezze di un tempo a causa della crisi del debito sovrano.
I giovani sentono il mondo dell’economia lontano dai loro bisogni, ma nello stesso tempo chiedono più formazione per gestire i loro soldi. Perché non cominciare a insegnarglielo nelle scuole superiori come già accade negli Stati Uniti dagli anni Settanta?
(*) Sara Silano è Caporedattore di Morningstar in Italia. Attenzione: Morningstar e i suoi dipendenti non forniscono alcun tipo di consulenza, né su investimenti in generale né su specifici fondi. Puoi mandare un commento all'Autore accedendo al sito di Morningstar (http://www.morningstar.it/it/), facendo poi l'opportuna ricerca.


 

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