Le tresche su Telecom
Per completezza, in merito la vicenda Telecom, riporto l'editoriale di Paolo Panerai apparso sabato scorso, 3 novembre, su Milano Finanza, come seguito dell'articolo del 27 ottobre.
(articolo segnalatomi dall'amico Alberto)
Arun Sari è il capo supremo di Vodafone ed è un sincero amico dell’Italia, tanto da aver ricevuto il 25 ottobre scorso dalle mani di Giancarlo Aragona, ambasciatore italiano a Londra, e di Leonardo Simonelli Santi, presidente della camera di commercio italiana, il premio Keynes-Sraffa, simbolo della cooperazione italo-inglese.
Sarin, in un breve discorso di ringraziamento, ha ricordato come il Dna di Vodafone sia in parte italiano, per il lavoro fatto da Francesco Colao, primo amministratore delegato di Omnitel (che molto contribuisce tuttora ai profitti di Vodafone) e quello dei suoi successori, Silvio Scaglia e Vittorio Colao, quest’ultimo tornato braccio destro di Sarin dopo l’infelice esperienza in RCS.
Ma c’è un episodio ancora più significativo che dimostra quanto l’Italia voglia bene a Vodafone, ha detto letteralmente Sarin, fra la crescente attenzione del pubblico in sala: Vodafone, ha spiegato Sarin, intendeva acquistare Hutchinson Essar, colosso indiano delle tlc, e per questo motivo Sarin chiese un colloquio a Sonia Gandhi, presidente del partito del congresso al governo di Nuova Delhi, allo scopo di presentare e spiegare che cosa fosse Vodafone e perché volesse investire in India. In quello stesso periodo il presidente del consiglio Romano Prodi era a New Delhi con la missione italiana di polititci e imprenditori organizzata per allargare le relazioni economiche con il nuovo colosso economico asiatico. “Lei non ha bisogno di spiegarmi nulla” rispose la signora Gandhi a uno sbigottito Sarin, “perché ho appena incontrato il primo ministro Romano Prodi e lui mi ha descritto per bene la vostra società”.
Lo scorso febbraio Vodafone è riuscita nel suo intento di acquistare Hutchinson Essar (anche se molti hanno considerato eccessivo il prezzo pagato, 11,1 miliardi più 2 miliardi di debiti assunti).
* * *
Chiedo scusa ai lettori per la divagazione, della quale tuttavia avranno già intuito la portata sul ruolo che appare aver avuto il presidente Prodi in tutta la vicenda Telecom Italia e delle telecomunicazioni in generale. Il pensiero non è certo quello che deliberatamente il capo del governo, al quale va tutto il rispetto di MF/Milano Finanza per il ruolo istituzionale che ricopre, abbia fatto da sponsor a una azienda straniera come Vodafone, in una paese dal forte interesse economico per il sistema industriale italiano. Probabilmente ha manifestato alla sigra Gandhi un’istintiva simpatia verso il primo operatore di telefonia mobile al mondo, ora con capacità di competere in Italia anche nella telefonia fissa nei confronti di Telecom Italia, dopo aver acquistato Tele 2. Ma certo la sorpresa che ha colto i presenti in sala a Londra per l’impensabile rivelazione di questo episodio non può colpire anche chi la legge.
Ma c’è un’altra ragione per cui ho riportato in apertura il fedele resoconto stilato da Gabriele Capolino, direttore ed editore associato di questo giornale, che fungeva da moderatore della manifestazione organizzata dalla camera di commercio italiana a Londra. Come i lettori ricorderanno, nel numero scorso ho raccontato con fedeltà millimetrica il casuale incontro dell’ex consigliere economico di Prodi, Angelo Rovati, con Marco Tronchetti Provera e me medesimo. In quel colloquio a tre le rivelazioni di Rovati furono altrettanto sorprendenti di quelle di Sarin, anche se di ben altro peso nella storia recente (sciagurata, si può aggiungere) di Telecom Italia. Egli raccontò spontaneamente che lui e Tronchetti Provera avevano raggiunto un preciso accordo per lo scorporo parziale della rete e il contestuale via libera alla società per slittare la parte commerciale di Tim. Aggiunse che il presidente Prodi era consenziente ma che una sera tra le 22 e le 23,30, quando era in visita al presidente del senato Franco Marini, qualcuno telefonò al premier e gli fece cambiare idea. Lui ancora oggi non sapeva chi fosse stato a fargli cambiare idea. Ma in qualsiasi circostanza era pronto a testimoniare che lui e Tronchetti l’accordo l’avevano raggiunto con il consenso di Prodi.
Come forse alcuni lettori avranno appreso, martedì 30, Rovati ha rilasciato una dichiarazione alle agenzie per smentire di aver detto quelle cose e annunciare di aver dato mandato agli avvocati per verificare se in quanto scritto da MF/Milano Finanza vi siano gli estremi per una querela.
Riconfermando tutto quanto scritto e sul quale c’è la testimonianza dello stesso Tronchetti, ho precisato che sarei ben lieto di trovarmi davanti a un magistrato, qualora (ma ne dubito) Rovati vorrà querelarmi.
Se anche il presidente Prodi (ma non lo credo) volesse ora smentire di aver descritto le qualità di Vodafone alla connazionale Sonia Gandhi, questa volta non ci sarebbe un solo testimone a poter confermare le dichiarazioni di Sarin, ma una sala intera di partecipanti al convegno della camera di commercio italiana a Londra.
Certamente l’episodio è un ennesimo tassello della scellerata politica svolta dal governo nei confronti del settore delle telecomunicazioni italiane e in particolare del principale operatore, Telecom Italia, patrimonio non solo degli azionisti ma di tutto il paese che con il pagamento dei canoni lo ha fatto finora uno dei rari campioni del paese. Ma l’episodio indica anche la strada che gli attuali azionisti italiani di Telecom Italia, con in testa Mediobanca-Generali-Intesa SanPaolo, dovrebbero seguire per raddrizzare la china che è stata volontariamente o involontariamente imposta alla società: tenersi ben lontani dalla volontà della politica, che già troppi disastri ha compiuto verso Telecom Italia, a cominciare dall’aver determinato un ingresso nel capitale della società da parte di Telefonica non come partner paritetico ma come azionista principale (con il 42,5%) della scatola Telco, nella quale, se non resteranno coese, le banche e la compagnia italiana, a cominciare dalla scelta dei manager, finiranno prima o poi per perdere il controllo a favore proprio del colosso spagnolo.
(articolo segnalatomi dall'amico Alberto)
Arun Sari è il capo supremo di Vodafone ed è un sincero amico dell’Italia, tanto da aver ricevuto il 25 ottobre scorso dalle mani di Giancarlo Aragona, ambasciatore italiano a Londra, e di Leonardo Simonelli Santi, presidente della camera di commercio italiana, il premio Keynes-Sraffa, simbolo della cooperazione italo-inglese.
Sarin, in un breve discorso di ringraziamento, ha ricordato come il Dna di Vodafone sia in parte italiano, per il lavoro fatto da Francesco Colao, primo amministratore delegato di Omnitel (che molto contribuisce tuttora ai profitti di Vodafone) e quello dei suoi successori, Silvio Scaglia e Vittorio Colao, quest’ultimo tornato braccio destro di Sarin dopo l’infelice esperienza in RCS.
Ma c’è un episodio ancora più significativo che dimostra quanto l’Italia voglia bene a Vodafone, ha detto letteralmente Sarin, fra la crescente attenzione del pubblico in sala: Vodafone, ha spiegato Sarin, intendeva acquistare Hutchinson Essar, colosso indiano delle tlc, e per questo motivo Sarin chiese un colloquio a Sonia Gandhi, presidente del partito del congresso al governo di Nuova Delhi, allo scopo di presentare e spiegare che cosa fosse Vodafone e perché volesse investire in India. In quello stesso periodo il presidente del consiglio Romano Prodi era a New Delhi con la missione italiana di polititci e imprenditori organizzata per allargare le relazioni economiche con il nuovo colosso economico asiatico. “Lei non ha bisogno di spiegarmi nulla” rispose la signora Gandhi a uno sbigottito Sarin, “perché ho appena incontrato il primo ministro Romano Prodi e lui mi ha descritto per bene la vostra società”.
Lo scorso febbraio Vodafone è riuscita nel suo intento di acquistare Hutchinson Essar (anche se molti hanno considerato eccessivo il prezzo pagato, 11,1 miliardi più 2 miliardi di debiti assunti).
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Chiedo scusa ai lettori per la divagazione, della quale tuttavia avranno già intuito la portata sul ruolo che appare aver avuto il presidente Prodi in tutta la vicenda Telecom Italia e delle telecomunicazioni in generale. Il pensiero non è certo quello che deliberatamente il capo del governo, al quale va tutto il rispetto di MF/Milano Finanza per il ruolo istituzionale che ricopre, abbia fatto da sponsor a una azienda straniera come Vodafone, in una paese dal forte interesse economico per il sistema industriale italiano. Probabilmente ha manifestato alla sigra Gandhi un’istintiva simpatia verso il primo operatore di telefonia mobile al mondo, ora con capacità di competere in Italia anche nella telefonia fissa nei confronti di Telecom Italia, dopo aver acquistato Tele 2. Ma certo la sorpresa che ha colto i presenti in sala a Londra per l’impensabile rivelazione di questo episodio non può colpire anche chi la legge.
Ma c’è un’altra ragione per cui ho riportato in apertura il fedele resoconto stilato da Gabriele Capolino, direttore ed editore associato di questo giornale, che fungeva da moderatore della manifestazione organizzata dalla camera di commercio italiana a Londra. Come i lettori ricorderanno, nel numero scorso ho raccontato con fedeltà millimetrica il casuale incontro dell’ex consigliere economico di Prodi, Angelo Rovati, con Marco Tronchetti Provera e me medesimo. In quel colloquio a tre le rivelazioni di Rovati furono altrettanto sorprendenti di quelle di Sarin, anche se di ben altro peso nella storia recente (sciagurata, si può aggiungere) di Telecom Italia. Egli raccontò spontaneamente che lui e Tronchetti Provera avevano raggiunto un preciso accordo per lo scorporo parziale della rete e il contestuale via libera alla società per slittare la parte commerciale di Tim. Aggiunse che il presidente Prodi era consenziente ma che una sera tra le 22 e le 23,30, quando era in visita al presidente del senato Franco Marini, qualcuno telefonò al premier e gli fece cambiare idea. Lui ancora oggi non sapeva chi fosse stato a fargli cambiare idea. Ma in qualsiasi circostanza era pronto a testimoniare che lui e Tronchetti l’accordo l’avevano raggiunto con il consenso di Prodi.
Come forse alcuni lettori avranno appreso, martedì 30, Rovati ha rilasciato una dichiarazione alle agenzie per smentire di aver detto quelle cose e annunciare di aver dato mandato agli avvocati per verificare se in quanto scritto da MF/Milano Finanza vi siano gli estremi per una querela.
Riconfermando tutto quanto scritto e sul quale c’è la testimonianza dello stesso Tronchetti, ho precisato che sarei ben lieto di trovarmi davanti a un magistrato, qualora (ma ne dubito) Rovati vorrà querelarmi.
Se anche il presidente Prodi (ma non lo credo) volesse ora smentire di aver descritto le qualità di Vodafone alla connazionale Sonia Gandhi, questa volta non ci sarebbe un solo testimone a poter confermare le dichiarazioni di Sarin, ma una sala intera di partecipanti al convegno della camera di commercio italiana a Londra.
Certamente l’episodio è un ennesimo tassello della scellerata politica svolta dal governo nei confronti del settore delle telecomunicazioni italiane e in particolare del principale operatore, Telecom Italia, patrimonio non solo degli azionisti ma di tutto il paese che con il pagamento dei canoni lo ha fatto finora uno dei rari campioni del paese. Ma l’episodio indica anche la strada che gli attuali azionisti italiani di Telecom Italia, con in testa Mediobanca-Generali-Intesa SanPaolo, dovrebbero seguire per raddrizzare la china che è stata volontariamente o involontariamente imposta alla società: tenersi ben lontani dalla volontà della politica, che già troppi disastri ha compiuto verso Telecom Italia, a cominciare dall’aver determinato un ingresso nel capitale della società da parte di Telefonica non come partner paritetico ma come azionista principale (con il 42,5%) della scatola Telco, nella quale, se non resteranno coese, le banche e la compagnia italiana, a cominciare dalla scelta dei manager, finiranno prima o poi per perdere il controllo a favore proprio del colosso spagnolo.
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