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mercoledì, marzo 30, 2011

La poetica di Piccolo Mondo Antico

Il post di questa settimana del Giardino delle Esperidi è dedicato alle Antimemorie di Mario Soldati. L'autrice narra di un'intervista allo scrittore, nel corso della quale all'argomento cinema la discussione era immancabilmente caduta sui suoi film legati ai romanzi di Fogazzaro. Lo scrittore-regista le rivelò che: "Fogazzaro piaceva molto a mia madre, molto religiosa, e Fogazzaro, con quella sua religiosità un po' morbosa, le era congeniale. Per farle un dispetto io invece lo ignoravo finché venne il giorno che mi commissionarono il film tratto da Piccolo mondo antico. Così fui costretto a leggerlo in una notte. " (*). Nacquero così i film Piccolo mondo antico, e Malombra, negli anni 1941-42, in pieno periodo bellico. Anche se i due film hanno compiuto i settant'anni, hanno ancora schiere di ammiratori, tra i quali anche chi all'epoca della loro uscita non erano ancora nati. C'è una pagina del Piccolo mondo antico, che sembra la descrizione di un bel quadro d'autore; è una pagina di alta poesia del II capitolo, seconda parte, dal suggestivo titolo "La sonata del chiaro di luna e delle nuvole". Leggendola, sembra quasi di stare in ammirazione davanti a un bel quadro. La casa di Antonio Fogazzaro è stata meta di numerosi turisti sabato e domenica 26 - 27 marzo 2011 in occasione delle Giornata Aperta FAI, una manifestazione che ha consentito a numerose persone di visitare i 150 siti più belli di proprietà del FAI.

Il sole calava dietro al ciglio del monte Brè e l'ombra oscurava rapidamente la costa precipitosa e le case di Oria, imprimeva, violacea e cupa, il profilo del monte sul verde luminoso delle onde che correvano oblique a ponente, grandi ancora ma senza spuma, nella breva stanca. Casa Ribera si era oscurata l'ultima. Addossata ai ripidi vigneti della montagna, sparsi d'ulivi essa cavalca la viottola che costeggia il lago, e pianta nell'onda viva una fronte modesta, fiancheggiata a ponente, verso il villaggio, da un giardinetto pensile a due ripiani, a levante, verso la chiesa, da una piccola terrazza gittata su pilastri che inquadrano un pezzo di sagrato. Entra in quella fronte una piccola darsena dove allora si dondolava, fra lo schiamazzar delle onde, il battello di Franco e Luisa. Sopra l'arco della darsena una galleria sottile lega il giardinetto pensile di ponente alla terrazza di levante e guarda il lago per tre finestre. La chiamavan loggia, forse perchè lo era stata in antico. La vecchia casa portava incrostati qua e là parecchi di questi venerandi nomi fossili che vivevano per la tradizione e figuravano, nella loro apparente assurdità, i misteri nella religione delle mura domestiche. Dietro alla loggia vi ha una sala spaziosa e dietro alla sala due stanze: a ponente il salottino da pranzo tappezzato di piccoli uomini illustri di carta, ciascuno sotto il proprio vetro e dentro la propria cornice, ciascuno atteggiato dignitosamente a modo degl'illustri di carne e d'ossa, come se i colleghi nemmanco esistessero e il mondo non guardasse che a lui; a levante la camera dell'alcova dove accanto agli sposi dormiva nel proprio letticciuolo la signorina Maria Maironi nata nell'agosto del 1852.


Nota: (*) ho letto anch'io il romanzo, ma per poterne assaporare tutte le sfumature ci ho impiegato giorni e giorni.

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