Alle origini di un fallimento 2
"...Questo spiegherebbe una certa altezzosità, e arroganza, che secondo varie fonti caratterizzò in particolare il primo Feudatario, Cesare Monti, che non mancò di teatralizzare al massimo il rito dell'infeudazione, ripetuto peraltro in più paesi della Valsassina.
La sera del 2 giugno 1647 il neo Conte Don Giulio Monti arrivò a Pasturo, e "la mattina seguente a Introbio, ove pigliò il possesso di questo nuovo feudo, andandovi tutti gli uomini a giurargli fedeltà, e l'istesso fece adì 4 a Cortenova, ove stando assiso con la spada nuda in mano ciascuno, poste le mani sul Messale aperto, giurava" alla presenza di un Cancelliere e del Magistrato Conte di Vimercate.
Era uno schiaffo dato ai valsassinesi, alle loro aspirazioni di libertà e di indipendenza, anche daziaria, alle loro tradizionali autonomistiche istituzioni, in primis quella del Pretorio.
Iniziava quel dualismo, espresso dalla rivalità tra i Manzoni e i Monti (che 40 anni dopo l'investitura, come vedremo (dal libro, n.d.r.) presero sede nella Torre di Introbio, simbolo di una solo apparentemente restaurata autorità feudale), tra il Sindaco Generale, carica che i Manzoni si trasmisero praticamente di padre in figlio, e che dava loro un'autorità reale, e il Feudatario, depositario di un'autorità praticamente solo formale, ma ugualmente fastidiosa.
Per alcuni decenni, praticamente fino alla morte del primo e arrogante feudatario, lo scopo dei valsassinesi, sotto la guida del Sindaco generale, fu quello innanzitutto di delimitare il più possibile i poteri e le competenze del nuovo titolato, vissuto come un ingiusto estraneo. Come vedremo (dal libro, n.d.r.) con l'aiuto anche dell'Amministrazione centrale dello Stato, prima spagnola poi asburgica, che tendeva anch'essa a delimitare le attribuzioni dei Feudatari, ci riuscirono ampiamente".
2a parte - segue
Stralcio dall'opera La Valle del ferro - Enrico Baroncelli - Casa Editrice G. Stefanoni Lecco - pagg.23 - 24
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