Liquidazione e pensione ai parlamentari
Dal blog di Alessandro Camilli, questo interessantissimo articolo sulle disparità di trattamento pensionistico dei parlamentari delle varie nazioni europee, messe a confronto con le pensioni riservate ai politici italiani. Dal confronto risulta evidente la validità del detto che, per il politico italiano, vale di più l'essere (deputato, senatore, o deputato regionale) per avere (avere una sommatoria di vantaggi e privilegi), che non la passione di fare il politico. Ne ho avuta la conferma durante quest'ultime vacanze quando, un amico di Lecco mi ha raccontato di un suo ex compagno di lavoro - ai tempi un delegato sindacale, che quindi di lavoro ne svolse veramente poco - che era entrato in politica senza arte nè parte e ora, grazie a due legislature passate sugli scranni di Montecitorio, percepisce - da parecchi anni ormai, da quando ne aveva poco più di 50 - una pensione di 9700 euro circa al mese quale ex parlamentare.
Liquidazione e pensione ai parlamentari: Italia batte Europa, Calabria batte Italia
ROMA – I parlamentari italiani sono primi nella non esaltante classifica dei politici che costano di più ai propri contribuenti. Il monte composto dalle liquidazioni e dalle pensioni che spettano ai nostri senatori ed ai nostri deputati anche dopo un’unica legislatura trascorsa in Parlamento stacca di gran lunga gli equivalenti francesi, inglesi e tedeschi. Esiste però un Parlamento che batte quello italiano su questo terreno. Non di uno Stato europeo né tantomeno di uno Stato sovrano, ma un “Parlamento” un po’ più piccolo, un parlamentino regionale, ovviamente italiano. La Regione Calabria batte tutti in fatto di pensioni riconosciute ai propri rappresentanti.
Dopo un solo quinquennio di attività a Montecitorio un deputato italiano si ritrova in tasca un assegno di fine mandato, una sorta di liquidazione, di quasi 47mila euro (che diventano più di 140.400 euro dopo 15 anni in Parlamento) e un vitalizio mensile, al compimento del 65esimo anno di età, che sfiora i 2.500 euro. Un’accoppiata, quella di liquidazione e pensione che negli importi non ha uguali in Europa. In Germania, ad esempio, cinque anni di lavori parlamentari fruttano agli “onorevoli” un assegno di oltre 7.600 euro per cinque mesi e una pensione, versata soltanto a 67 anni di età, di 961 euro mensili. In Francia il vitalizio arriva a 60 anni di età (62 dal 2018) ma non supera i 780 euro (c’è però l’opzione del trattamento “complementare”) mentre a fine mandato i deputati possono chiedere un sussidio di reinserimento lavorativo per tre anni. Più bassa dell’Italia anche la pensione dei parlamentari britannici, liquidata a 65 anni di età e calcolata con il metodo contributivo, che dopo cinque anni di mandato oscilla tra i 530 e i 794 euro. Nel Regno Unito la liquidazione è sostituita da un sorta di rimborso per le spese collegate al completamento delle funzioni di parlamentare che può raggiungere un massimo di circa 47mila euro. Le indennità dei parlamentari restano ben al di sopra della media europea (poco più di 5.300 euro), alla quale peraltro dalla prossima legislatura, sulla base dell’ultima manovra economica, gli stipendi di deputati e senatori dovranno, dovrebbero, adeguarsi.
Dopo un solo quinquennio di attività a Montecitorio un deputato italiano si ritrova in tasca un assegno di fine mandato, una sorta di liquidazione, di quasi 47mila euro (che diventano più di 140.400 euro dopo 15 anni in Parlamento) e un vitalizio mensile, al compimento del 65esimo anno di età, che sfiora i 2.500 euro. Un’accoppiata, quella di liquidazione e pensione che negli importi non ha uguali in Europa. In Germania, ad esempio, cinque anni di lavori parlamentari fruttano agli “onorevoli” un assegno di oltre 7.600 euro per cinque mesi e una pensione, versata soltanto a 67 anni di età, di 961 euro mensili. In Francia il vitalizio arriva a 60 anni di età (62 dal 2018) ma non supera i 780 euro (c’è però l’opzione del trattamento “complementare”) mentre a fine mandato i deputati possono chiedere un sussidio di reinserimento lavorativo per tre anni. Più bassa dell’Italia anche la pensione dei parlamentari britannici, liquidata a 65 anni di età e calcolata con il metodo contributivo, che dopo cinque anni di mandato oscilla tra i 530 e i 794 euro. Nel Regno Unito la liquidazione è sostituita da un sorta di rimborso per le spese collegate al completamento delle funzioni di parlamentare che può raggiungere un massimo di circa 47mila euro. Le indennità dei parlamentari restano ben al di sopra della media europea (poco più di 5.300 euro), alla quale peraltro dalla prossima legislatura, sulla base dell’ultima manovra economica, gli stipendi di deputati e senatori dovranno, dovrebbero, adeguarsi.
A Montecitorio lo stipendio lordo dei deputati, escluse le “voci accessorie”, è di oltre 11.703 nero, che scende a 5.486 euro al netto delle ritenute fiscali e previdenziali. Si risale però con la diaria: oltre 3.500 euro mensili da cui vanno detratti circa 206 euro per ogni giorno di assenza dalle votazioni elettroniche. Altri 3.690 euro al mese vengono poi concessi per rimborsi spese. In tutto siamo a quasi 12.700 euro al mese, ai quali vanno aggiunti circa 3.100 euro l’anno di “indennizzo” per le spese telefoniche. Nutrito poi il pacchetto delle agevolazioni: ferrovie, navi e aerei gratis e un ulteriore rimborso: oltre 3.320 euro per chi risiede a meno di 100 km dall’aeroporto più vicino, che salgono a quasi 4mila euro per chi si trova a una distanza superiore. Trattamenti superiori a molti altri Paesi europei anche se su questo fronte la differenze con Francia, Germania e Gran Bretagna sono meno marcate. A Parigi l’indennità, escluse le voci accessorie e i rimborsi, supera di poco i 7.100 euro lordi ma al netto delle ritenute si avvicina a quella italiana: 5.246,81 euro. I parlamentari tedeschi beneficiano invece di uno stipendio lordo di 7.668 euro mentre i loro colleghi britannici percepiscono 65.738 euro lordi l’anno. Per non parlare dei paesi più poveri, sempre rimanendo in Europa, come Spagna o Portogallo e senza nemmeno voler citare i paesi da poco entrati nell’Unione.
Come dicevamo però esiste una realtà, quella del consiglio regionale calabrese, che riesce persino a far meglio, se così si può dire, rispetto al Parlamento italiano. Ai consiglieri calabri di lungo corso spetta infatti una «pensione» più alta di quella dei parlamentari: dopo tre mandati si arriva a 9.733 euro netti al mese, guardando dall’alto in basso i 7.200 euro lordi riservati agli ex senatori. Merito, prima di tutto, della struttura delle indennità che, come riporta il censimento degli “stipendi” realizzato dalla conferenza dei presidenti dei consigli, in Calabria privilegia la parte fissa di base (8.508,05 euro netti al mese, contro i 4.500 della Campania, per fare un esempio) e assottiglia quella variabile legata ai «rimborsi» (2.808 euro al mese, invece dei 6.317 della Campania). Il vitalizio si calcola sulla quota fissa, e il gioco è fatto. Ma la «pensione» dei consiglieri non è che uno dei costi sontuosi che la Regione Calabria sostiene per foraggiare i suoi rappresentanti. Stando alle spese (2008) riclassificate dalla Copaffistituzionali costano ogni anno 7,5 euro a residente, in Campania si arriva a 14,8 e in Calabria si sfonda il muro dei 38 euro pro capite. Il tutto in un Consiglio che, secondo l’ultimo rapporto sulla legislazione regionale, presenta il numero di atti di indirizzo e di interrogazioni più basso d’Italia (e anche il tasso di risposta inferiore).
E non è l’unica, la Calabria, ad attuare una simile politica, chi più chi meno quasi tutte le nostre regioni si dimostrano estremamente munifiche nei confronti dei loro parlamentari. Il vitalizio è oggetto di discussione ormai ovunque, ma di abrogazione quasi mai. Unica eccezione, finora, l’Emilia Romagna, che ha deciso di cancellarli a partire dal 2011. Anche in Umbria la maggioranza di centro-sinistra sembra decisa a imboccare la stessa via, mentre in Valle d’Aosta è calcolato con il metodo contributivo, in base al criterio del «tanto versi, tanto riceverai» che fuori dalle assemblee elettive è regola generale da anni. Nelle altre Regioni, ad esempio, il vitalizio è calcolato in percentuale sull’indennità, con un moltiplicatore che cresce insieme agli anni passati dall’interessato sui banchi del Consiglio regionale. L’età per il diritto all’assegno oscilla dai 60 ai 65 anni a seconda della Regione, con una eccezione: nel Lazio il diritto al vitalizio scatta a 55 anni, ma chi proprio non ce la fa ad attendere può cominciare a ricevere l’assegno a 50 anni, rinunciando al 5 per cento per ogni anno di anticipazione. Niente paura, però, superata la soglia dei 55 anni la decurtazione scompare e l’assegno torna a essere pieno: non solo, il vitalizio laziale è girabile ai coniugi superstiti senza pagare nulla, mentre nelle altre regioni la reversibilità si paga.
27 luglio 2011 | 14:50
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