marshall

giovedì, luglio 09, 2009

Il pozzo di San Patrizio

La provedenza, che governa il mondo
con quel consiglio nel quale ogni aspetto
creato è vinto pria che vada al fondo,

però ch'andasse ver lo suo diletto
la sposa di colui ch'ad alte grida
disposò lei col sangue benedetto,

in sè sicura e anche a lui più fida,
due principi ordinò in suo favore,
che quinci e quindi le fosser per guida.

(Dante, Paradiso, XI, 28-36)

Per risolvere gli attuali grossi problemi dell'Africa, ci vorrebbe un grande intervento della divina Provvidenza, così come fece ai tempi di Dante Alighieri, quando mandò San Francesco e San Domenico in soccorso di una chiesa quasi agonizzante, durante quel suo travagliato periodo storico.

Questo blog è sempre stato relativamente distante da Giovanni Sartori, per via di una certa posizione dello stesso, che all'amministratore del blog è parsa ambigua e mancante di coraggio nell'esprimere apprezzamenti verso l'operato di Berlusconi, anche quando i meriti di costui erano stati del tutto evidenti. E' così che egli, non fosse stato per Nessie, che gli ha caldeggiato la lettura di un articolo di Sartori, pubblicato sul Corriere della Sera del 15 giugno scorso, sarebbe ancora sulle sue posizioni guardinghe nei riguardi di tutti gli scritti di Sartori. Oggi, dopo aver letto il seguente suo articolo, il blogger ha ribaltato completamente la scarsa opinione che di lui aveva, per le "forti" e coraggiose idee espresse nell'articolo.
Nella speranza che il Corriere della Sera non abbia nulla da obiettare, faccio il copia-incolla integrale dell'articolo, col vivo suggerimento che esso andrebbe letto in combinazione col post di Nessie ( questo ) e dei suoi relativi commenti.

IMMIGRAZIONE E DIRITTO D’ASILO
Il pozzo senza fondo
di Giovanni Sartori

Per chi non lo sapes­se, il pozzo di San Patrizio è un pozzo senza fondo, e quin­di un pozzo che non si riempie mai. Finora risulta­va che la terra fosse un pia­neta tondo e racchiuso in se stesso. Ma per i «popola­zionisti » e per chi si occu­pa di migrazioni di massa è, si direbbe, un pozzo di San Patrizio. Siamo più di 7 miliardi? Nessun proble­ma, il pozzo li ingurgita tut­ti. Sarebbe lo stesso se fossi­mo 77 miliardi: provvede­rebbe sempre San Patrizio. Un Santo del VI secolo che la Chiesa dovrebbe rivaluta­re.
Ma procediamo con ordi­ne. Di recente Alberto Ron­chey ricordava su queste co­lonne che un secolo fa gli africani erano 170 milioni, mentre oggi si ritiene che siano 930 milioni. La sola Nigeria potrebbe arrivare, nel 2050, a 260 milioni di abitanti; e le Nazioni Unite stimano che Paesi come l’Etiopia, il Congo e il Su­dan, già stremati da ricor­renti carestie, rischiano di raddoppiare, entro il 2050, la loro popolazione. E men­tre la popolazione cresce a dismisura, le risorse ali­mentari del continente afri­cano sono state malamente dilapidate dall’erosione del suolo e dalla desertificazio­ne.
Questi sono, all’ingros­so, i numeri della «pressio­ne dell’Africa» richiamata da Ronchey, che è la pres­sione a noi più vicina e quindi più minacciosa. Una pressione che si ascrive alla categoria degli «eco-profu­ghi », e correlativamente de­gli «eco-rifugiati». Che fa­re? Come accoglierli? Fino­ra si è parlato di diritto di asilo. Ora si comincia a par­lare di «profughi ambienta­li ». La prima categoria è im­propria e difficile da accer­tare, mentre la seconda è davvero troppo larga, trop­po onnicapiente: presuppo­ne che il mondo sia quel pozzo di San Patrizio che non è.
Il diritto di asilo è stato, nei millenni, una protezio­ne, una immunità religiosa dalla «vendetta del san­gue » (i parenti di un ucci­so, o simili) per chi si rifu­giava in un luogo sacro. Questo asilo trova la sua massima espansione nel­l’Europa medievale, per poi venir meno. E il punto è che l’asilo non è mai stato riconosciuto come «dirit­to » di intere comunità e tanto meno per motivi poli­tici. Pertanto il diritto di asi­lo concepito come titolo di entrata in un Paese per i ri­fugiati politici è una recen­te invenzione. E andiamo ancora peggio con la nozio­ne di «vittime ecologiche». Questa categoria è davvero smisurata e sconfitta dai numeri. Gli eco-profughi sono già centinaia di milio­ni; e basterebbe che il disse­sto del clima spostasse i monsoni per ridurre alla fa­me mezzo miliardo di india­ni.
Il rimedio certo non può essere di accogliere tutti e di un Occidente che si pren­de carico dei diritti di asilo e dei profughi ambientali. Per l’Africa un’idea sarebbe di «rinverdirla», di render­la di nuovo fertile e vivibi­le. Un po’ tardi, visto che l’agricoltura è già per metà perduta, che i laghi si pro­sciugano e che la desertifi­cazione è irreversibile. Per carità, l’Africa va aiutata. Ma tutto è inutile se e fin­ché non apriremo gli occhi alla realtà, al fatto che l’Afri­ca (e non soltanto l’Africa) muore di sovrappopolazio­ne, e che la crescita demo­grafica (ovunque avvenga) va risolutamente affrontata e fermata.

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